Appendice Camerunese

Quando, il 7 luglio 1976, lasciai Londra per trasferirmi a Roma, non feci il viaggio in aereo ma in treno. La mia intenzione era di passare a Bruxelles, per incontrare Giuseppe, mio compagno di studi, allora segretario nella Nunziatura in Belgio, che aveva da poco perso suo padre. La visita, durata solo due giorni, fu particolarmente opportuna, anche perché proprio in quei giorni sua madre stava passando qualche tempo con lui.

            Mentre ero lì, mi misi in contatto con Yvonne Rossignon, che aveva lavorato nella Nunziatura di Yaoundé ma che era tornata in Belgio da qualche anno. Al telefono mi disse di non voler entrare in Nunziatura, ma riuscii a convincerla a venire, perché potessimo vederci e parlare insieme.

            Mi raccontò quindi la sua storia, con dei risvolti molto tristi. Qualche tempo dopo la mia partenza dal Camerun, Yvonne si era sentita poco bene. Accurate analisi, per le quali era dovuta tornare a Bruxelles, avevano rivelato che aveva un tumore, che avrebbe dovuto essere operato quanto prima. Di nuovo a Yaoundé, aveva concordato con le sue colleghe di lavoro il da farsi: una loro consorella l’avrebbe sostituita per qualche tempo e, se l’intervento chirurgico avesse avuto successo, lei sarebbe tornata a prendere il suo posto. L’opzione alternativa sarebbe stata quella di prepararsi alla morte.

            Parlò di questo con il Nunzio che, però, reagì subito dicendole: “In questo caso dobbiamo rompere il contratto!” Lì per lì, Yvonne non aveva neppure capito il senso della frase, ma poi la cosa fu ripetuta: se lei era malata, che se ne andasse a casa e non tornasse più in Nunziatura. Non fu espressa nessuna preoccupazione per il suo stato di salute e per la possibile evoluzione della sua condizione.

            Yvonne tornò in Belgio, fu operata e guarì completamente, ma non volle più sentir parlare di Nunzi e di Nunziature. Quell’ultima esperienza a Yaoundé aveva cancellato del tutto il ricordo degli anni trascorsi in Camerun, dove aveva lavorato bene ed era stata felice. Al termine del nostro colloquio, le lasciai una statuetta in vetro della Madonna, di artigianato svedese, che avevo ricevuto partendo da Londra.

            Alla fine del mese di maggio del 2018, dal Belgio mi giunse la notizia della sua morte. Una sua nipote mi scrisse per ricordare che la zia aveva sempre tenuto con sé la statuetta di Maria, e ricordava che gliel’avevo regalata in occasione del nostro incontro a Bruxelles.