Con Maria, nell’attesa della Pasqua

marzo 2008

L’evangelista Luca, dopo aver narrato la nascita di Gesù a Betlemme e la visita dei pastori alla grotta, scrive: “Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Più tardi, concludendo il Vangelo dell’infanzia con il racconto dello smarrimento di Gesù nel tempio, aggiunge: “Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2,51). Tante volte, nel corso degli anni che seguirono, mentre, nella casa di Nazareth, compiva le solite faccende di ogni giorno, e forse ascoltava i rumori che venivano dalla bottega di Giuseppe, dove suo marito e suo figlio lavoravano per fare gioghi e aratri, Maria avrà ripensato a quelle “cose”, ormai lontane e misteriose. Tante volte, nella preghiera, avrà riascoltato le parole dell’angelo: “Sarà grande e sarà chiamato figlio dell’Altissimo … il suo regno non avrà mai fine” (Lc 1,32).

Per anni Dio, che le aveva parlato attraverso l’arcangelo Gabriele, è rimasto silenzioso. C’erano stati alcuni segni, al momento della nascita, con la venuta dei pastori e dei magi. Sono seguiti alcuni messaggi, trasmessi in sogno a Giuseppe. Poi più nulla. Il silenzio era stato completo per anni e anni, ed aveva messo alla prova la fede di Maria. Quando, anni dopo, Gesù lasciò la casa paterna e iniziò la sua missione, Maria rimase a Nazareth, a continuare la sua vita umile e nascosta. Ogni tanto le arrivavano notizie del figlio: le belle cose che diceva, i miracoli che aveva compiuto, le folle che lo seguivano. Ma poi anche l’ostilità crescente di alcuni settori potenti del popolo, le defezioni tra i suoi discepoli, le minacce sempre più frequenti alla sua vita.

            E infine, nei giorni della passione, possiamo immaginare Maria che lascia la casa per recarsi in fretta a Gerusalemme, avvertita di quello che stava accadendo a suo figlio. O era forse già nella città santa per celebrare la Pasqua, come ogni buon ebreo era richiesto di fare? Per certo sappiamo solo, questa volta per la testimonianza dell’evangelista Giovanni, che Maria era presso la croce di Gesù, testimone silenziosa del suo spogliamento estremo e della sua morte infamante. Fu allora che il figlio morente le chiese di prendere Giovanni come suo figlio e l’affidò al discepolo dell’amore, come ultimo dono di quanto aveva di più prezioso.

            Possiamo chiederci quali fossero i sentimenti di Maria, quando, dopo aver accolto tra le braccia il corpo esanime di suo figlio, aveva potuto verificarne la morte, in tutta la sua crudeltà. E quali poi ne fossero i pensieri quando la tomba fu chiusa con un masso rotolato contro l’entrata  del sepolcro. Che ne era, in quei momenti, delle promesse ascoltate tanti anni prima? Come poteva la povera Madre riconoscere in quel cadavere martoriato il titolare del trono di Davide, che avrebbe dovuto regnare per sempre? Quanto pesanti le devono essere sembrate, in quei momenti, le sue parole dette all’angelo: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). Quello che avveniva allora era così difficile da accettare. Il buio era completo.

            Eppure, in quella angoscia mortale, in quel buio completo, la luce della fede continuava a brillare nel cuore di Maria. Elisabetta l’aveva riconosciuta come “colei che ha creduto” (Lc,1,45) e la sua fede nella parola di Dio è rimasta intatta sino alla fine, anche in quel venerdì, anche in quel sabato di silenzio e di attesa. Attesa? Sappiamo che i discepoli, chiusi nella loro delusione e nella loro paura, non aspettavano nulla. Maria invece aspettava. Perché la parola di Dio non poteva restare senza compimento. La mattina della Pasqua la sua fede fu premiata, e Maria divenne testimone della risurrezione.

Mentre ci prepariamo alla Pasqua, guardiamo a lei, la Donna di fede. Quando per noi è difficile credere, seguiamo il suo esempio. Lei stessa ha vissuto la stessa prova, tanto più dura e tanto più difficile da superare. Per questo la sentiamo vicina. Per questo confidiamo in lei.