Concerto d’organo 26 luglio 2008

M° Giulio Mercati

Il salmo 194
Esegesi ed esecuzione della sonata di Julius Reubke

Il programma di questa sera ci presenta l’interpretazione musicale del salmo 94. Il Maestro Giulio Mercati interpreterà la “grande sonata per organo in do minore sul Salmo 94”, composta da Julius Reubke, compositore tedesco molto precoce, morto ad appena 24 anni di età. La composizione che ascolteremo oggi è la sua opera più famosa.

Il libro dei salmi è una parte della Bibbia, e raccoglie dei testi poetici creati da autori diversi all’interno del Popolo di Israele. Anche se appartengono all’Antico Testamento, essi sono utilizzati dalla Chiesa nelle sue celebrazioni: la messa, i sacramenti e la liturgia delle ore (il breviario o ufficio divino usato da sacerdoti e religiosi).

Musica e salmi sono legati da sempre. I salmi sono infatti delle composizioni poetiche, fatte per essere cantate. Tant’è vero che, all’inizio di alcuni salmi, c’è anche l’indicazione dello strumento che avrebbe dovuto accompagnare il canto, oppure della melodia con la quale il testo doveva essere interpretato. Leggiamo infatti: “Per flauti, per strumenti a corda, sulla ‘ghittea’” (si pensa che sia uno strumento, anche se non si sa esattamente come fosse). Poi ci sono dei titoli di canzoni, che non conosciamo ma che probabilmente erano ricordati per indicare l’aria su cui cantare. È come se oggi noi presentassimo un testo poetico, dicendo che può essere cantato con l’aria di “O sole mio”, oppure con l’aria di “La donna è mobile” o un’altra musica conosciuta da tutti.

La raccolta dei salmi comprende 150 composizioni di diversa lunghezza, in gran parte attribuite al Re Davide. In realtà, anche se Davide è ricordato come cantore e poeta, sembra difficile che tutte queste opere siano state composte da lui. Nella Sacra Scrittura (2 Sam 19-27), è ricordato un suo bellissimo canto di dolore, composto alla morte di Saul e di suo figlio Gionata, suo carissimo amico:

                                   “O monti di Gelboe, non più rugiada né pioggia su di voi
                                   né campi di primizie,
                                   perché qui fu avvilito lo scudo degli eroi,
                                   lo scudo di Saul, unto non di olio
                                   ma con il sangue dei trafitti, col grasso degli eroi.
                                   L’arco di Gionata non tornò mai indietro,
                                   la spada di Saul non tornava mai a vuoto.
                                   Saul e Gionata, amabili e gentili,
                                   né in vita né in morte furon divisi;
                                   erano più veloci delle aquile,
                                   più forti dei leoni”.

Il testo è molto antico e potrebbe risalire a Davide. Ma per la maggioranza degli altri salmi, sia il linguaggio usato sia alcuni riferimenti storici fanno capire che sono di un’epoca più tarda.

I salmi sono poesie. Per noi una poesia è spesso riconosciuta per la lunghezza dei versi e le rime. Dante, per esempio, adopera dei versi di 11 sillabe (“Nel mezzo del cammin di nostra vita”), e fa in modo che, ogni due versi, capitino parole che terminano con la stessa sillaba:

“Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura       
che la diritta via era smarrita.
Ah! quanto a dir qual era è cosa dura
questa selva selvaggia e aspra e forte,
questa selva selvaggia e aspra e forte,
che nel pensier rinnova la paura!”

 Anche Leopardi usa versi di 11 sillabe, ma lascia perdere la rima, contando sulla sonorità delle parole:

“Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
de l’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminato
spazio di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura …”

Nei salmi non c’è né la rima né lo stesso numero di sillabe, ma tutto è giocato con i ritmi e i suoni che, nella lingua ebraica, nascono dalle diverse frasi e dalle strofe. Non dimentichiamo che tutto questo era per essere cantato, e quindi dobbiamo pensare che la musica seguisse un po’ il colore delle espressioni usate, un po’ – ma solo un po’ – come capita nelle forme più antiche di opera lirica.

Nelle nostre canzoni, e anche nelle canzonette, i temi trattati sono diversi, come sono diverse le situazioni della vita e i sentimenti delle persone. Per cui abbiamo canti d’amore, canti di protesta, canti che raccontano storie. Tra i canti d’amore, ci sono quelli che parlano di un amore felice, altri di un amore finito o di un amore tradito. Lo stesso accade nei salmi, che si distinguono, e sono suddivisi, a seconda dello stile e dell’argomento che trattano. Ma i salmi sono preghiere e hanno sempre Dio come interlocutore.

Il salmo che commentiamo questa sera, e di cui ascolteremo l’interpretazione musicale, porta il n. 94 (93 nella liturgia: la ragione di questa differenza ve la spiegherò in un’altra occasione). È un salmo che riflette sulla presenza di Dio nel mondo, ed è quindi chiamato un “salmo sapienziale”. In esso, però, si tocca anche il grande problema del dolore, della sofferenza degli innocenti e del successo degli ingiusti. Esso ha quindi anche un tono di protesta e di supplica, ma si conclude con la certezza che Dio farà giustizia per il suo servo.

Quando in questo salmo, come del resto in tutti gli altri, sentiamo il titolo “Signore”, dobbiamo ricordare che esso nasconde il nome di Dio che non poteva essere pronunciato, che noi rendiamo con JAHWEH e che meglio dovremmo indicare con le sole quattro lettere JHWH. Nei loro testi manoscritti, gli ebrei segnalavano in modo speciale questa parola, e al suo posto leggevano “Adonai” (di qui è poi nata la lettura sbagliata di “Geova”, termine mai esistito e che, da solo, indica bene l’ignoranza di quelli che l’adoperano nel loro stesso nome: i Testimoni di Geova). La stessa forma di rispetto è stata adottata dalla Chiesa, che, nella liturgia, ha sempre evitato di usare il nome che Dio ha rivelato a Mosè. E noi dovremmo fare lo stesso.

Vediamo dunque il testo del salmo. Gli studiosi lo dividono in tre parti, ciascuna in due porzioni: due appelli rivolti a Dio, uno all’inizio e l’altro alla fine del salmo, nei quali si chiede al Signore di intervenire per portare la giustizia; poi due lamentazioni, nelle quali si protesta perché quelle persone che si comportano male, opprimono i deboli e danno giudizi ingiusti, stanno bene e sembrano persino trionfare; infine ci sono due lezioni sapienziali, al centro del salmo, la prima con una invettiva contro i cattivi, per far capire loro quanto sia superficiale la loro visione di Dio; la seconda, con una breve riflessione sui giusti, che hanno fiducia nella giustizia di Dio.

Ecco quindi l’inizio del salmo:
“Dio che fai giustizia, o Signore,
Dio che fai giustizia: mostrati!
Alzati, giudice della terra,
rendi la ricompensa ai superbi”.

Come sentite, è un inizio forte. Il salmista affronta Dio con energia, come richiamandolo al suo dovere. L’espressione “Dio che fai giustizia” addolcisce un po’ il titolo che in ebraico viene attribuito al Signore. In effetti, il testo originale dice letteralmente: “Dio della vendetta”, un’attribuzione che ci sembra brutale, o addirittura barbarica. Quando noi sentiamo la parola “vendetta”, pensiamo subito ad un sentimento e ad un comportamento inaccettabile, da un punto di vista di morale cristiana. Noi diciamo: “non vendetta ma perdono”. Qui però lo scrittore allude ad una situazione diversa e usa una lingua che non è molto ricca di parole e di sfumature. Il concetto che esprime è però molto chiaro. Il Signore ha la funzione giuridica di proteggere quelli che sono maltrattati e offesi e che non hanno nessuno che li difende, quelle categorie di persone, cioè, che saranno ricordate subito dopo: vedove, orfani, forestieri.  Dio è il loro avvocato difensore ed è anche l’esecutore della giustizia, che si deve applicare secondo la legge del taglione: “Occhio per occhio, dente per dente”.

Apro una parentesi, per chiarire questa idea. Dal punto di vista della morale evangelica, noi ricordiamo la parola di Gesù nel discorso della montagna: “Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio, dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra” (Mt 5,38-39).  Questa nuova norma, che supera e sostituisce la legge antica, non deve però farci dimenticare che quella legge regolava e limitava il diritto di vendicarsi, ed era già un grande passo in avanti, rispetto alla libera vendetta di chiunque si sentisse offeso da qualcuno.  Il libro dell’Esodo (21, 23-25) insegna che l’offesa va pagata in proporzione al danno fatto, e non al di là di questo. Per capire quale fosse la situazione che la legge di Mosè cercava di regolare, potete ricordare il canto di Lamech:

“Lamech disse alle mogli:
‘Ada e Zilla, ascoltate la mia voce;
mogli di Lamech, porgete l’orecchio al mio dire:
ho ucciso un uomo per una mia scalfittura
e un ragazzo per un mio livido.
Sette volte sarà vendicato Caino

Ecco quindi che Dio è colui che deve assicurare la “vendetta”, e quindi, nel senso indicato, fa in modo cha la giustizia sia amministrata, vendicando (anche noi usiamo questa espressione) i diritti calpestati dei deboli.

Il secondo verso del salmo esprime anche meglio questa idea:

“Alzati, giudice della terra,

rendi la ricompensa ai superbi”,

dove è evidente che “la ricompensa” vuol dire: “dai loro quello che si meritano” e cioè “puniscili”.

Dopo di questo inizio, quasi gridato, il poeta passa a una fase più discorsiva, con un tono di lamento. La domanda è posta a Dio stesso: “Fino a quando, Signore, gli empi, i peccatori, gli ingiusti trionferanno?”.  Descrive poi le azioni di queste persone: essi calpestano il popolo – che era chiamato “eredità di Dio” e cioè suo possesso –, essi uccidono le vedove e il forestiero, mettono a morte gli orfani. In questo modo sono ricordate quelle tre categorie di persone che erano prive di ogni diritto, perché erano sole e non protette da nessuno.  Mentre i cattivi agiscono così, si giustificano con la certezza che Dio non li vede, non si rende conto di quello che accade nel mondo.  È la convinzione che cercano di avere quelli che fanno del male: “Tanto Dio non mi vede, o forse Dio non c’è, e, se c’è, guarda altrove …”.

Ma ora, il salmista aggiunge alcune considerazioni, per far capire l’assurdità di questa convinzione: “È mai possibile che proprio quello che ha creato il mondo sia così sprovveduto?  Ha creato lui gli orecchi, e pensi che non ci senta?  Ha creato lui gli occhi, e pensi che non ci veda?  È lui che dirige il mondo, e dà le leggi alle nazioni, è lui che ci dà la conoscenza e conosce i nostri pensieri, e sa che tutto quello che è umano dura poco, è come un soffio che si sente appena e poi scompare”.

Subito dopo, segue un’altra parte di questa sezione, che abbiamo detto “sapienziale”, cioè di considerazioni che aiutano a capire meglio la realtà del mondo e di Dio.  L’uomo che segue l’insegnamento del Signore è beato, ed egli troverà l’aiuto di Dio nei momenti difficili, “finché all’empio sia scavata la fossa”.  Il che ci ricorda ancora che siamo all’interno di una mentalità non ancora evangelica, nella quale tutto quello che si spera è la morte del peccatore, e non la sua conversione.  Quello che comunque è certo è che Dio è fedele al suo popolo, alla sua “eredità”, e prima o poi si avrà un giudizio giusto, e gli onesti saranno vicini a Dio.

Nella composizione musicale che ascolteremo, queste due parti sapienziali non sono state prese in considerazione.  L’autore è passato direttamente da una lamentazione all’altra, forse per rendere il pezzo più compatto e drammatico.

Ecco quindi la seconda lamentazione, che inizia con una domanda urgente: il salmista si sente oppresso da gente disonesta. Chi lo difenderà?  Chi si presenterà per aiutarlo contro i malfattori?  Segue una frase piena di fede: “Se il Signore non fosse il mio aiuto, in breve io abiterei nel regno del silenzio”.  Questo “regno del silenzio” è l’altra vita, quella che segue la morte.  Dell’oltretomba, gli ebrei avevano una percezione molto vaga, che solo in tempi più vicini all’epoca cristiana ha preso le connotazioni che conosciamo, con l’idea di una sopravvivenza dell’anima e di un premio di felicità eterna ricevuto dai giusti.  Per loro, dopo la morte c’era lo “sheol”, una situazione triste e difficile da definire, ma con un aspetto sostanzialmente negativo, certamente una condizione a cui non si va volentieri.

Il salmo continua a lodare la fedeltà di Dio che mi sostiene e mi dà gioia anche in mezzo alle tribolazioni.  Il pensiero torna infine ai nemici, ai disonesti che ora sono identificati con i giudici ingiusti: “È mai possibile che un tribunale iniquo, che va contro la legge, possa essere considerato alleato di Dio?  Questi vanno contro i giusti, condannano gli innocenti!”.  Nella Scrittura, non mancano esempi di giudici corrotti.  Basti pensare ai due anziani viziosi che, con la loro falsa testimonianza, cercano di far condannare Susanna come adultera (Dan 13).  O al giudizio con il quale Gesù fu condannato, prima dal tribunale del Sinedrio, e poi dai tribunale romano di Pilato. Può essere alleato di Dio un tribunale ingiusto?  No, certamente Dio non può avere nulla a che fare con gente del genere.

Ed ecco che siamo alla conclusione del salmo: ancora una volta si afferma la fiducia nella protezione di Dio, che è quello che mi difende, colui nel quale mi rifugio, come in una fortezza fatta di roccia, che non si può abbattere.  Dio farà ricadere sulla testa dei peccatori la loro malvagità e li farà perire, o addirittura li annienterà.

Il salmo 94 diventa così un grido di ribellione e insieme di speranza: il Signore non abbandona il suo popolo, in lui quelli che ora sono sfruttati riceveranno giustizia. Arriverà un momento in cui i tribunali giudicheranno rettamente e i giudici saranno giusti.  Una speranza, come vedete, che si fa strada faticosamente.  Ancora oggi, dopo tanti altri secoli e dopo tanto cammino della coscienza della giustizia e del diritto, possiamo esprimere lo stesso desiderio: che nel mondo ci sia giustizia.  È nostro dovere lavorare e lottare per ottenerlo, ma sappiamo che ancora non ci siamo.  E il mondo della giustizia vera sarà quello che segue la morte: non più uno “sheol” triste e nebuloso, ma un regno di amore e di pace, conquistato per noi dalla morte e risurrezione di Cristo Signore.

Quando recitiamo o cantiamo un salmo nella liturgia delle ore, concludiamo sempre la preghiera con il “Gloria al Padre”.  In quel modo, aggiungiamo ad un testo antico, e in molti casi ancora ancorato a modi di credere della Vecchia Alleanza, uno sguardo verso il Nuovo Testamento, ponendo davanti ai nostri occhi le prospettive del Vangelo, che ci rivela la vera natura di Dio, Uno in Tre Persone, e ci ricorda l’incarnazione del Figlio di Dio, che, facendosi Figlio di Maria, è venuto in terra per salvarci.

Ascoltiamo ora il salmo intero:

1Dio che fai giustizia, o Signore,
Dio che fai giustizia: mostrati!
2 Alzati, giudice della terra,
rendi la ricompensa ai superbi.
3 Fino a quando gli empi, Signore,
fino a quando gli empi trionferanno?
4 Sparleranno, diranno insolenze,
si vanteranno tutti i malfattori?
5 Signore, calpestano il tuo popolo,
opprimono la tua eredità.
6 Uccidono la vedova e il forestiero,
danno la morte agli orfani.
7 Dicono: «Il Signore non vede,
il Dio di Giacobbe non se ne cura».
8 Comprendete, insensati tra il popolo,
stolti, quando diventerete saggi?
9 Chi ha formato l’orecchio, forse non sente?
Chi ha plasmato l’occhio, forse non guarda?
10 Chi regge i popoli forse non castiga,
lui che insegna all’uomo il sapere?
11 Il Signore conosce i pensieri dell’uomo:
non sono che un soffio.
12 Beato l’uomo che tu istruisci, Signore,
e che ammaestri nella tua legge,
13 per dargli riposo nei giorni di sventura,
finché all’empio sia scavata la fossa.
14 Perché il Signore non respinge il suo popolo,
la sua eredità non la può abbandonare,
15 ma il giudizio si volgerà a giustizia,
la seguiranno tutti i retti di cuore.
16 Chi sorgerà per me contro i malvagi?
Chi starà con me contro i malfattori?
17 Se il Signore non fosse il mio aiuto,
in breve io abiterei nel regno del silenzio.
18 Quando dicevo: «Il mio piede vacilla»,
la tua grazia, Signore, mi ha sostenuto.
19 Quand’ero oppresso dall’angoscia,
il tuo conforto mi ha consolato.
20 Può essere tuo alleato un tribunale iniquo,
che fa angherie contro la legge?
21 Si avventano contro la vita del giusto,
e condannano il sangue innocente.
22 Ma il Signore è la mia difesa,
roccia del mio rifugio è il mio Dio;
23 egli ritorcerà contro di essi la loro malizia,
per la loro perfidia li farà perire,
li farà perire il Signore, nostro Dio.

È giunto il momento di ascoltare la musica. Poniamo attenzione all’esecuzione. Spero che il compositore, Julius Reubke, e l’esecutore, il Maestro Giulio Mercati, possano farci sentire nella melodia quello che il salmo, nei suoi versi ci ha comunicato.