Conferenza tenuta il 2 dicembre 2006, a 1700 anni dalla nascita di Sant’Efrem Siro, in un incontro con la comunità Siriaca.
Cari Amici,
Siete stati così gentili da chiedermi di dirvi qualcosa su Sant’Efrem Siro, dal punto di vista della Chiesa Cattolica, e, più specificamente, dal punto di vista dell’autorità centrale della Chiesa Cattolica, e cioè della Santa Sede. Lo faccio volentieri, cercando di presentarvi, in modo semplice e ordinato, quello che altri hanno scritto e detto su questo grande Padre della Chiesa.
In particolare, la vostra curiosità dovrebbe essere stimolata dalla decisione presa dal Papa Benedetto XV, il 5 ottobre 1920, di proclamare S. Efrem Dottore della Chiesa Universale, con una lettera enciclica, che, dalle sue prime parole, era intitolata “Principi Apostolorum”.
Vi dico innanzitutto qualcosa circa la persona responsabile di questa decisione. Benedetto XV fu eletto Papa poco prima dell’inizio della Prima Guerra Mondiale. Dopo la sua elezione, si è rivolto a tutti i capi delle nazioni europee, implorandoli di non dare inizio a una guerra, che, disse, poteva soltanto diventare “un inutile massacro”. Non fu ascoltato, ed alcuni guerrafondai, come il socialista italiano Benito Mussolini, lo misero in ridicolo per la sua bassa statura, chiamandolo non “Benedetto” ma “benanetto”. Sappiamo tutti che la guerra ci fu e fu veramente un inutile massacro. Poco tempo dopo la fine delle ostilità, nel documento che ho ricordato, il Papa faceva riferimento al fatto che “la spaventosa guerra è finita”. E poi aggiungeva: “Noi, che abbracciamo i popoli Orientali con non minore sollecitudine e affetto dei Nostri Predecessori, Ci rallegriamo che non pochi di essi, dopo una guerra spaventosa, abbiano recuperato la libertà … e cercano di riorganizzare la loro vita politica, ciascuno secondo le proprie caratteristiche nazionali e secondo le istituzioni tradizionali”.
Nella sua proclamazione, Papa Benedetto enfatizza un aspetto della personalità di S. Efrem. Ci parla della vivace natura di S. Efrem e della sua grande attenzione ai bisogni del suo prossimo. È anche consolante sapere che, come giovane uomo, Efrem era “di carattere focoso, facile all’ira, amante di litigi, piuttosto sbrigliato di mente e di lingua”. Veniamo anche a sapere che egli fu messo in prigione, anche se per accuse false, e che questa situazione, invece di causare disperazione, divenne per lui l’occasione di rivedere la sua vita e di cercare un nuovo tipo di impegno nella sua fede cristiana. Mentre viveva a Nisibi, si dedicò allo studio della Sacra Scrittura e divenne un commentatore della Bibbia molto colto e competente. Ma poi accadde qualcosa che lo costrinse a cambiare luogo di residenza, da Nisibi a Edessa. Ecco ora come il Papa ci racconta questo importante episodio: “Poco dopo, costretto ad interrompere gli studi delle Sacre Scritture a causa della minaccia sulla città da parte delle truppe persiane, esortò con tutte le sue forze i concittadini alla resistenza. Il pericolo, scongiurato una prima volta per le preghiere del Vescovo Giacomo, si ripresentò più grave dopo la sua morte. Assediata nuovamente, la città cadde in mano ai Persiani nel 363. Efrem, preferendo l’esilio al giogo degli infedeli, emigrò ad Edessa”. Possiamo quindi vedere che il forte temperamento del monaco non era più un difetto ma era diventato una qualità, che lo ha aiutato nel suo fermo atteggiamento di fedeltà alla sua fede e nel suo patriottismo verso la madrepatria.
Gran parte del suo tempo era spesa in studio e preghiera, nella solitudine della sua casa, che lasciava solo per brevi missioni, per predicare la dottrina cristiana. Quando una terribile carestia minacciò le vite dei cittadini di Edessa, egli lasciò il suo monastero e andò in città, per aiutare quelli che erano in grave necessità. Non era ricco, ma era eloquente, e ha usato la sua abilità “per aprire i cuori e gli scrigni dei ricchi — rimprovera coloro che avevano nascosto il frumento e li prega insistentemente di andare incontro almeno col superfluo al bisogno dei fratelli. Più che dalla necessità dei concittadini, i ricchi furono scossi dalla sua autorità”. Il santo monaco tornò alla sua solitudine solo quando la carestia cessò, e il raccolto dell’anno seguente provvide abbondanza di viveri.
Questo esempio ci offre molti motivi di riflessione. La fame a Edessa, in quel momento della storia, è sofferta anche oggi da molti milioni di persone nel nostro mondo. Anche oggi ci sono quelli che muoiono di fame e quelli che “nascondono il frumento”. Anche oggi abbiamo bisogno di profeti con la forza e la passione di Efrem per convincere i ricchi a dare cibo ai poveri. Non c’è dubbio che, come in quei giorni, le menti e gli scrigni dei ricchi sono chiusi, con sigilli e lucchetti. In qualche modo sembra anche più difficile raggiungerli e convertirli alla generosità.
Quando Efrem tornò alla sua solitudine, continuò a studiare e a scrivere, fino alla sua morte, che avvenne nel 372, quando aveva 66 anni di età. A questo punto, egli era già visto come un esempio di vita santa e come grande studioso, e i suoi scritti, composti in origine in lingua siriana, furono immediatamente tradotti in armeno e in greco, e più tardi in latino, in modo da poter essere usati nelle assemblee cristiane, e si attribuì ad essi una dignità ed una autorità seconda soltanto alla Sacra Scrittura.
La quantità e la qualità degli scritti che ha lasciato è impressionante, al punto che attorno alla sua produzione letteraria si è creato una specie di mito. Ci sono alcuni che, in maniera iperbolica, agli attribuiscono “tremila miriadi di poesie, se si contano tutti insieme”. Altri, per semplificare il problema dell’attribuzione a lui di molte opere, dichiarano semplicemente che le sue composizioni sono un “mare magnum – un mare immenso”. Anche accettando l’idea che non tutti gli scritti che sono attribuiti a lui siano di fatto autentici, non si può fare a meno di restare sorpresi per l’abbondanza della sua produzione. Mi scuso per la banalità di questa considerazione, ma mi chiedo: quante cose interessanti erano fatte, in un’epoca nella quale non c’erano né radio, né giornali e neppure la televisione.
Il titolo di “Dottore della Chiesa Universale”, che è stato attribuito a S. Efrem, corrisponde a “maestro”, e indica una persona i cui insegnamenti non solo hanno grande autorità dottrinale ma sono anche totalmente corretti. Questo titolo è stato dato a grandi teologi del passato e, in tempi più vicini a noi, è stato attribuito anche a donne, come l’italiana S. Caterina da Siena, la spagnola S. Teresa di Gesù, e recentemente la carmelitana francese S. Teresa di Gesù Bambino.
Efrem ha studiato intensamente la Bibbia. Si è posto alla scuola del Libro Santo ed ha presentato la verità della dottrina cristiana con chiarezza e con uno stile pregevole. È stato un grande poeta, ed ha avuto la capacità di presentare le più alte dottrine teologiche attraverso la poesia, rendendole così belle e attraenti. Ha poi unito a questo l’abilità di comporre musica, aggiungendo bellezza a bellezza. In questo modo ha fatto un grande servizio ai suoi concittadini, che ha istruito in un modo piacevole. Il suo esempio è stato seguito e imitato da molti altri, al punto che egli può essere giustamente considerato l’inventore dei commenti biblici, delle presentazioni teologiche, della poesia e della musica religiosa.
Non è facile – lo sappiamo tutti – trovare maestri che siano nello stesso tempo profondi, interessanti e persino attraenti. Efrem è stato capace di mettere insieme tutte queste cose. La decisione quindi di proclamarlo Dottore della Chiesa è giustificata per molte ragioni.
Vediamo in Efrem il patriota siriano, il cittadino attento, il monaco contemplativo, lo studioso colto, il poeta sensibile, il delicato musicista. I suoi contemporanei lo chiamarono “la lira dello Spirito Santo”, indicando allo stesso tempo la sua umiltà di fronte all’ispirazione divina e la sua abilità di manifestarla, come delicate note di uno strumento musicale. E oltre a tutte queste qualità, lo chiamiamo “Dottore della Chiesa”: un maestro che, 1.700 anni dopo la sua nascita, ancora ha molte cose da insegnarci. E come sono fortunati quelli che possono ascoltare la sua poesia nella stessa lingua originale in cui essa fu a suo tempo composta!