Discorso pronunciato a La Paz, nel Ministero degli Affari Esteri della Bolivia

Discorso pronunciato a La Paz, nel Ministero degli Affari Esteri della Bolivia, in occasione della consegna della onorificenza del Condor delle Ande, il 17 giugno 1996.

Signor Ministro degli Affari Esteri,

In questi oltre sei anni di permanenza in Bolivia, solo una volta ho potuto vedere un condor. Un giorno salivo al Chacaltaya e, all’improvviso, in un cielo incredibilmente limpido e azzurro, è apparso l’imponente uccello, che planava in silenzio. Non ho potuto fare altro che contemplarlo e sentire che quel giorno era stato arricchito da quella apparizione.

È difficile trovare un simbolo che illustri meglio del condor l’unicità di quel fenomeno geografico e umano chiamato Bolivia. Qualcosa di appassionante e misterioso nello stesso tempo, che incanta con un fascino speciale, ma che resta fuori dalla possibilità di essere totalmente conosciuto.

Ricevo l’onorificenza del Condor delle Ande e sento, come quella volta al Chacaltaya, che l’apparizione del Condor fa di questo giorno qualcosa di unico e di arricchente. Il mio primo sentimento è di gratitudine al Signor Presidente della Repubblica e al suo Governo, per questo gesto generoso verso la mia persona. Le chiedo, Signor Ministro, di voler manifestare al Presidente la mia riconoscenza sincera e di assicurargli il mio ricordo e la mia preghiera per il successo nella sua missione al servizio del popolo boliviano.

Concludo il mio mandato come Nunzio Apostolico in Bolivia per andare in un altro Paese e in un altro continente. Per quanto ho potuto capire fino ad ora, troverò un ambiente completamente diverso, ma il servizio da compiere sarà lo stesso. Essere Rappresentante del Papa significa lavorare allo stesso livello in cui la Santa Sede svolge la propria missione nel mondo: non mediante i normali strumenti della politica, ma soprattutto tenendo come orientamento i valori morali e religiosi dai quale è portatrice. Per questo, il Nunzio non vive in una specie di dissociazione di personalità, tra le dimensioni di diplomatico e di pastore, ma interpreta il proprio essere diplomatico in una dimensione pastorale, e cioè come sacerdote e vescovo, come chi rimane sempre al servizio della verità del Vangelo, e deve quindi annunciare la pace e la giustizia in ogni circostanza e a ogni livello. Come tributo alla verità, devo riconoscere che in questi anni, nei frequenti contatti con i colleghi del Corpo Diplomatico, ho riconosciuto in ciascuno di essi lo stesso interesse, direi la stessa passione, per i valori umani dell’onestà, il rispetto e la solidarietà.

Guardando indietro, ai sei anni trascorsi qui, vedo con molta chiarezza che se, in qualche maniera e in qualche circostanza, ho potuto dare qualcosa, è più quello che ho ricevuto e ricevuto in abbondanza. Il compimento della missione mi ha portato a visitare e conoscere molte regioni di questa nazione, a scoprirne le bellezze naturali, storiche e artistiche, e a restare sempre sorpreso per le molte realtà belle che possiede, quasi come uno scrigno dal quale non si finisce mai di estrarre tesori di grandissimo valore.

Ma il valore più grande l’ho scoperto grazie al contatto permanente con le persone di questa terra, di ogni regione e di ogni livello sociale, di ogni età e professione. Questo è quello che mi ha arricchito di più e mi ha portato ad ammirare l’insieme delle loro qualità.

Se, guardando avanti, sono profondamente convinto che la Bolivia ha in sé la potenzialità per crescere e svilupparsi in modo integrale e per conquistare un grande futuro, è perché credo che la ricchezza maggiore di questo Paese, quella veramente insostituibile, si radica nella nobiltà della sua gente, nella sua capacità di lottare e sacrificarsi e di raggiungere nuove mete senza perdere la dignità delle sue origini. In questo insieme umano, di immenso valore, la Chiesa esercita una riconosciuta funzione di stimolo e di nutrimento del pensiero, non da fuori ma piuttosto come la realtà più profondamente inserita nella coscienza di questo popolo.

Per questa celebrazione, che mi commuove profondamente, ho voluto, Signor Ministro, che fossero presenti alcuni giovani, tra i tanti che ho conosciuto in questi anni. Sono ragazzi con i quali ho avuto la possibilità di mantenere una relazione più stretta, a volte con il legame di “padrino” a “affiliato”, e anche di “padre” a “figlio”. È proprio dal contatto con loro che ho maturato questa convinzione: la Bolivia possiede in essi un capitale fondamentale, sono loro il presente prezioso di questo paese, sono loro che saranno capaci di costruire quel mondo veramente nuovo e bello che anche noi abbiamo sognato, ma che non siamo stati capaci di edificare.

A loro, nei quali vedo rappresentato tutto il popolo boliviano, lascio i miei migliori auguri: che giungano a costruire una Bolivia senza schiavitù: senza violenza, senza menzogne, senza droga, senza corruzione, senza ingiustizia e senza fame. Una Bolivia nella quale non esistano bambini senza famiglia, nella quale la donna sia rispettata come persona, dove tutti abbiamo accesso ad una educazione adeguata, dove la giustizia sia diritto comune e non solo privilegio di pochi.

A loro, come rappresentanti di questa Bolivia giovane e bella, esprimo la mia gratitudine per l’accoglienza qui ricevuta, per gli stimoli con i quali mi hanno fatto crescere, per le loro ripetute esigenze con le quali mi hanno fatto sentire in crisi. A loro dedico questa onorificenza che ora ricevo, perché possano sentirsi orgogliosi di essere boliviani, e nello stesso tempo orgogliosi del loro padre e padrino, nello stesso modo in cui io mi sento orgoglioso di loro.

Signor Ministro,

Se mi sono rivolto direttamente ai giovani, non vorrei che noi – che da molto tempo non siamo più giovani e che ci consoliamo parlando di giovinezza dello spirito – ci sentiamo esclusi dalla sfida che le urgenti necessità di questa società ci lanciano. Quelli che sono impegnati nelle funzioni pubbliche hanno piuttosto una responsabilità grande e immediata alla quale non possono mancare di rispondere.

Ripeto ora a Lei quello che dissi ai responsabili politici pochi giorni dopo del mio arrivo in Bolivia: “Un giorno Dio ci chiederà ragione di quello che abbiamo fatto, a Lei come Ministro degli Esteri, a me come Nunzio Apostolico”. Sono sicuro che ideali di giustizia e solidarietà, propugnati con tanta forza di convinzione da Giovanni Paolo II, incontrino nel suo cuore, Signor Ministro, una corrispondenza pronta e generosa, per il bene di questa nobile e amata Nazione.

Se Dio vorrà che, nelle strade del mondo, potremo incontraci ancora, spero che potremo riconoscerci ancora come innamorati di questa Bolivia, innamorati dei valori della libertà, innamorati dei valori della vita.

Che Dio benedica Bolivia e il suo Presidente. Che Dio benedica questi giovani. Che Dio benedica il popolo boliviano.