Due storie vergognose

Non credo che siano gli unici episodi dei miei anni giovanili dei quali io debba vergognarmi, ma certamente sono quelli che, anche oggi, ricordo con molta chiarezza e con altrettanta chiarezza mi fanno vergognare. Il primo è rimasto segreto, per la mia ipocrisia, mentre il secondo l’ho vissuto di fronte ai miei compagni di classe.

            Quando ero capo di un gruppo di aspiranti, dovevamo fare l’“Angolo di gruppo” nella nostra sede provvisoria, dato che l’edificio del vecchio Manzoni era stato demolito e il nuovo era ancora in costruzione. Il mio vice capo disegnava molto bene e fu lui a preparare il nostro stemma, da mettere al centro della composizione. L’elmo al centro era molto ben fatto, ma lo scudo, con linee solo diritte, non mi piaceva affatto. In un momento in cui ero solo nella sede, presi la decisione di strappare il tutto. Poi denunciai il fatto all’assistente, don Giuseppe Carloni, facendo credere che si fosse trattato di un gesto di vandalismo da parte di sconosciuti. Per quanto ricordo, nessuno seppe mai la verità. Ma neppure ricordo se, già allora, provai vergogna per quello che avevo fatto.

            Il secondo episodio accadde nel mio primo anno del liceo classico, e quindi nel 1957. Il professore di storia e filosofia era quasi cieco: vedeva le sagome, e quindi era capace di venire a scuola da solo, ma per leggere e per scrivere adoperava il Braille. Nelle prime settimane di lezioni, non avevo ancora il testo di storia, che dovevo ricevere usato da un amico. Questi però lo usava ancora, perché, all’inizio del secondo anno, dovevano recuperare alcuni temi del programma del primo. Intanto, utilizzavo un Bignami, con i suoi riassunti stringati e superficiali, ma buoni per le emergenze.

            Un giorno, mentre ne stavo ancora leggendo qualche paragrafo, fui chiamato alla cattedra per l’interrogazione. Senza pensarci due volte, andai con il Bignami, per completare la lettura mentre il professore interrogava il compagno chiamato prima di me. Il professore se ne accorse, mi rimproverò e sequestrò il Bignami, che poi mi restituì, quando potei spiegargli la mia situazione di emergenza. Come conseguenza, agli scrutini del primo trimestre, ebbi un voto negativo in filosofia, ma a casa non ne spiegai mai la ragione.

            La cosa assurda era stata che, sinceramente, non era mia intenzione usare il Bignami durante l’interrogazione, ma solo di finirne la lettura, per essere pronto. Ovvio che questa spiegazione non fu creduta. E ricordo ancora, con molta amarezza, che uno dei miei compagni, per il quale avevo una particolare stima, mi fece capire che considerava la mia azione del tutto vergognosa.