Festival organistico lauretano

Terzo concerto
Jean Guillou, Organo

Loreto, 4 agosto 2009

Durante la riflessione svolta nel concerto di martedì scorso, ci eravamo lasciati con una conclusione rassicurante: “Un concerto può avere il suo posto in chiesa. Se c’è bellezza, se c’è armonia, se c’è impegno e creatività: tutto questo è segno della presenza di Dio, attraverso l’abilità artistica di noi creature”.

Questa sera, ascoltando il concerto eseguito dal Maestro Jean Guillou, confermiamo quell’affermazione e cerchiamo di aiutarci a poter godere ancora una volta della bellezza della musica ed a rallegrarci per la capacità creativa di compositori ed interpreti. La cosa diventa ancora più stimolante quando, come accade a noi questa sera, abbiamo come nostro ospite un artista che è allo stesso tempo compositore ed interprete. Ricordando il suo maestro, il grande Dupré, egli ha detto: “Da lui ho appreso l’importanza di una tecnica saldissima, premessa necessaria per l’interpretazione, che è invece personale. Ai miei allievi non ho mai insegnato come suonare un passaggio ma ho sempre insegnato a pensare al modo migliore per far arrivare al pubblico la bellezza della musica”. È proprio quello che ci vuole per noi.

Abbiamo ora ascoltato un concerto di Händel per organo. Di questo autore, molto prolifico e sempre grande, conosciamo tutti almeno l’aria dell’”Alleluia”, dal suo Oratorio “Il Messia”. Sarebbe già tanto se ne avessimo ascoltato il testo intero, in modo da non accontentarci di certe esecuzioni fatte in parrocchia, come se si potesse usare una melodia come questa per l’“Alleluia” della nostra Messa domenicale. A parte l’inevitabile povertà dell’esecuzione, sarebbe come pensare di usare una Ferrari Testarossa per fare un giretto sul lungomare, la domenica sera. Nell’interpretare il brano composto da Händel, il Maestro Guillou non solo ha letto, secondo la sua ispirazione e abilità artistica, il testo musicale preparato dal compositore, ma ne ha dato anche una sua propria trascrizione, entrando quindi profondamente nelle intenzioni dell’autore stesso.

Richiamo la vostra attenzione sul prossimo pezzo che stiamo per ascoltare. Ha un’origine che merita di essere ricordata: è nata come improvvisazione e riecheggia una semplice melodia coreana. Il titolo: “L’uccello azzurro”, fa capire che è una melodia che vuole ispirarci la contemplazione di un uccellino, vuole quindi suscitare una sensazione visiva, attraverso il mezzo musicale. Non è una cosa da poco, dato che il linguaggio è diverso. Siamo familiari con certi dipinti, in cui appaiono animali, ed anche proprio degli uccelli. Prendete, per esempio, la Madonna del Cardellino di Raffaello, tela nella quale il piccolo San Giovanni tiene in mano un uccellino e lo mostra a Gesù. Lì si tratta di una rappresentazione pittorica, che si basa sulla sensazione visiva. In questa composizione, dovrebbe essere la musica a creare in noi la sensazione di incontrare l’uccellino – forse qualcosa come nelle sinfonie di Respighi, che cerca di ripetere il richiamo dei diversi uccelli? In attesa di ascoltare la musica, possiamo solo prepararci spiritualmente, pensando al carattere familiare e francescano di questo santuario, quindi non alieno ad una contemplazione della natura ed all’ascolto delle sue voci. Ma l’autore ha voluto anche esprimere una sua vicinanza spirituale con il popolo coreano, che ha conosciuto guerre e oppressioni, e che ora, nella sua parte settentrionale, vive sotto il giogo di una dittatura folle e spietata.

L’ultima composizione che sarà eseguita oggi ha una portata maggiore. Si tratta di una rielaborazione che Franz Liszt ha tratto da una melodia del primo atto dell’opera “Le Prophète – il Profeta” di Giacomo Meyerbeer. La vicenda narrata nell’opera è un tipico dramma romantico, con tanti colpi di scena, equivoci, scambi di persona e, alla fine, dopo qualche morte individuale, un’ecatombe purificatrice, nella quale muoiono tutti. L’ispirazione è tratta da una vicenda vera, di un gruppo di protestanti, separatisi anche dalle radici luterane e calviniste, che ricevettero il nome di Anabattisti – perché battezzano di nuovo i loro adepti. Di per sé, essi sostengono di non “ri” – battezzare, perché, secondo loro, il battesimo dato da altri, specialmente a bambini piccoli, non è valido. Il movimento si divise in diversi tronconi, che presero nomi diversi, alcuni dei quali ricordiamo anche noi, come Quaccheri e Mennoniti.

Per la loro posizione teologica, che li rendeva mal visti sia ai cattolici – con i quali in verità avevano ben pochi contatti – sia ai protestanti, essi furono perseguitati in Europa. A suo tempo, i Mennoniti si rifugiarono in America, dove, da una ulteriore suddivisione, ebbe origine la nuova comunità religiosa e sociale che si è stabilita in gran parte nella Pennsylvania, con il nome di “Amish”.

Il brano scelto da Liszt per la sua composizione è tratto dal primo atto dell’opera ed è una preghiera corale, il cui testo latino dice: “Ad nos, ad nos salutarem undam, iterum venite, miseri! Ad nos, ad nos venite, populi”: “Voi, miseri, venite a noi, all’onda che salva; voi, popoli, venite a noi”. È il canto dei tre fondatori della nuova confessione, che invitano i contadini a unirsi a loro. Questi sono servi di un signore arrogante e crudele, e i tre Anabattisti li invitano a ribellarsi. Nella storia narrata dall’opera, scoppia la rivoluzione ma, come accade spesso, i nuovi dominatori non sono migliori di quelli che sono stati cacciati dal potere. La situazione dei poveri rimane la stessa: in pratica cambia solo la persona del padrone, e i sudditi continuano ad essere sfruttati.

Dato che in questi giorni si è parlato della nuova lettera enciclica di tema sociale di Papa Benedetto, potremmo ricordare una frase che il Papa Paolo VI scrisse, nel 1967, nella sua enciclica “Populorum progressio”, proprio a proposito della rivoluzione violenta e delle sue conseguenze:

“E tuttavia sappiamo che l’insurrezione rivoluzionaria – salvo nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese – è fonte di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri, e provoca nuove rovine. Non si può combattere un male reale a prezzo di un male più grande” (n. 31).

Il brano musicale di Franz Liszt non si occupa di questa parte della storia, ma si limita a riprendere l’esortazione che i missionari anabattisti rivolgono alla folla dei contadini. È un invito ad unirsi a loro e un incoraggiamento per cercare di sollevarsi dalla situazione di oppressione e di umiliazione nella quale essi si trovavano. L’intenzione primaria è quindi quella di suscitare negli oppressi la volontà di risorgere e di stabilire nella loro società una situazione giusta, quale Dio ha fin dall’inizio desiderato per le sue creature.

Questo brano musicale è quindi una preghiera, con la quale si invoca un mondo più giusto, libero dai vincoli del peccato e di tutte le sue conseguenze. Questa forma di preghiera continua ad essere attuale e necessaria oggi come allora, in molte parti del mondo. La proporzione di corruzione e di sfruttamento dei più deboli da parte dei più forti può variare, ed essere in alcuni paesi e regioni più evidente che in altri. La presenza dell’egoismo, nelle sue tante manifestazioni, è comunque un fenomeno costante, che accompagna con i suoi frutti di povertà e di morte gran parte dell’umanità.

Dal punto di vista strettamente musicale, il brano di Liszt è basato su un solo tema che viene trattato ripetutamente, sotto forma di variazioni, dagli accordi iniziali fino alla grande fuga, per la quale si richiede una tecnica organistica salda e precisa.

Se torniamo al nostro punto di partenza, sappiamo quindi di poter quindi vivere questo momento di godimento estetico ed artistico anche come un’esperienza di contemplazione e di preghiera: contemplazione delle bellezze del creato, nell’armonia dell’universo, nella solennità della musica e nella bellezza semplice di un uccellino; ma insieme anche preghiera, per invocare dal Signore un aiuto per tutti coloro che soffrono a causa dell’ingiustizia e che possono trovare nella nostra solidarietà un sostegno per la loro lotta verso la liberazione.

          Grazie e buon ascolto.