Festival Organistico Lauretano

Secondo concerto – Christian-Markus Raiser

Loreto, 27 luglio 2010

Nella vela centrale del soffitto della Cappella Tedesca, il pittore Ludwig Seitz ha rappresentato l’incoronazione di Maria, da parte di Cristo, Re dell’Universo. Come nel resto della Cappella, l’artista si è compiaciuto di rappresentare Maria con una eleganza suprema, sia nel suo volto, in un profilo delicatissimo, ma non lezioso, sia nella bionda capigliatura fluente, sia nel bianco manto regale, che suscita una sensazione quasi tattile, nel suo splendore cangiante.

Il tema dell’incoronazione di Maria, e quindi della sua regalità, è tra i favoriti dagli artisti e qui, nel complesso di questo santuario, ne abbiamo almeno tre versioni diverse: nella Cappella dei Duchi di Urbino, della Sala del Pomarancio e, appunto, nella Cappella Tedesca. Il Pomarancio aveva ripetuto il soggetto anche negli affreschi della cupola, ma questi sono andati perduti e a noi restano soltanto alcuni disegni preparatori.

L’antifona “Salve Regina” fa riferimento al titolo regale di Maria, senza approfondirne la ragione. È un testo che conosciamo bene, perché è usato con frequenza nella preghiera, ad esempio al termine del Rosario o al termine della Liturgia delle Ore. La preghiera presenta una nostra supplica alla Madonna, alla quale chiediamo di rivolgere a noi il suo sguardo misericordioso, mentre camminiamo in questo mondo, definito “valle di lacrime”, e soprattutto imploriamo da lei il dono della visione di suo Figlio, Gesù, al termine della nostra vita terrena.

L’origine della preghiera è abitualmente fissata all’XI secolo ed è attribuita al monaco Ermanno, dell’abbazia tedesca di Reichenau. Questo religioso è ricordato come Ermanno lo storpio o il rattrappito, e sarebbe anche l’autore di un’altra antifona mariana, l’“Alma Redemptoris Mater”. Della sua vicenda umana, davvero commovente, potremo occuparci in occasione del concerto del 25 agosto, nel quale, appunto, commenteremo quel testo.

Abbiamo già ascoltato l’interpretazione musicale del testo del Salve Regina, composta da John Bull. Io neppure sapevo che esistesse un compositore con questo nome, che è adoperato per indicare il personaggio tipico, o quasi la caricatura dell’inglese per antonomasia. Ho avuto quindi la conferma che non è mai troppo tardi per imparare qualcosa di nuovo.

Più tardi, proprio come ultimo pezzo del programma, il maestro Raiser si esibirà in una improvvisazione sullo stesso tema – e questo mi incuriosisce molto di più. Cerchiamo ora di entrare nello spirito di questa preghiera, per saper gustare meglio l’interpretazione che ne darà il concertista di oggi.

Il titolo di “regina” ha una origine lontana e, almeno per noi oggi, ha anche un sapore che, più che antico, è fuori moda e di poco significato. Dobbiamo pensare ai tempi in cui il governo di uno stato era detenuto dal re, che aveva un potere vero, assoluto e non limitato, come oggi, da una costituzione. L’autorità del re era indiscutibile, anche perché garantita da una investitura sacra, definita come “diritto divino”. A fianco del re, la regina era sempre vista come l’aspetto più dolce e misericordioso del potere: la regina che pensa ai poveri, la regina a cui si presentano le richieste di grazia, la regina che è la madre della nazione. In fondo, qualcosa di questa tradizione è rimasta anche oggi, quando la moglie del Presidente della Repubblica è Presidente onoraria della Croce Rossa o di altre associazioni benefiche.

Se sfogliamo le pagine della Bibbia, soprattutto dell’Antico Testamento, non troviamo molte figure di regine che possano ispirarci nel senso desiderato. Non si sa nulla della moglie di Saul, mentre si sa troppo delle tante regine di Davide, anche se, a un certo punto, Betsabea prevale sulle altre e ha un ruolo anche politico, soprattutto nella determinazione della successione di Salomone. Ci sono anche due regine perverse: Gezabele, sposa di Acab, re di Samaria, e Atalia, reggente durante la vacanza del regno di Giuda, per l’assassinio degli eredi di suo figlio, fatti uccidere da lei stessa.

La figura che più si avvicina al nostro ideale di sovrana benevola e provvida, e che quindi può farci capire qualcosa della regalità di Maria, è Ester, la fanciulla ebrea assurta al ruolo di sposa del re Assuero. Questa, di fronte al pericolo mortale in cui l’intero popolo ebraico si era trovato, per le trame del perfido Aman, primo ministro del regno, interviene presso il re per chiedere la salvezza per sé e per i suoi. L’intervento di Ester è determinante, ma non perché sia lei a decidere: lei intercede, ottiene la grazia e la giustizia per il suo popolo, ma chi decide è chi detiene il potere, e cioè il re suo marito. Ester agisce quindi non come diretta salvatrice, ma come colei che presenta il caso al re, difende i diritti del suo popolo, opera una mediazione e rende possibile la salvezza.

La regalità di Maria deve essere intesa in questi termini: come autorità che l’umile figlia del popolo d’Israele ha conquistato attraverso la sua disponibilità ad essere strumento dell’incarnazione. Maria è la madre del Salvatore, di colui del quale l’angelo ha annunciato: “Il suo regno non avrà fine”.  Maria intercede con forza a Cana, quasi impone a suo Figlio di compiere il primo miracolo. Maria è ai piedi della croce, e al Calvario vive la passione insieme con il Figlio, vicino a lui nella lotta suprema per sconfiggere il male, il peccato e la morte. Maria è infine presente nel Cenacolo con la Chiesa nascente, nella preghiera che preparava la Pentecoste. I titoli che vengono abitualmente dati alla Vergine Maria – di corredentrice, avvocata e mediatrice – sono le manifestazioni concrete di quella sua presenza che indichiamo con l’immagine della “regina”.

La nostra venerazione a Maria come regina si esprime attraverso il gesto dell’incoronazione, compiuto su immagini che sono tradizionalmente oggetto di devozione da parte dei fedeli. La Madonna di Loreto è sempre rappresentata con una corona – e diverse corone, di varia forma, sono state donate nel corso dei secoli. Ricordiamo la corona offerta dal re di Francia, Luigi XIII, per ringraziare la Madonna della grazia di un figlio, quello che sarebbe un giorno diventato Luigi XIV, il Re Sole; la corona con cui Pio VII volle onorare la statua, quando fu restituita dopo il furto di Napoleone, ma spogliata di tutti i suoi ornamenti; la corona che Pio XI pose sul capo della nuova immagine, che sostituì l’originale distrutta nell’incendio del 1921; l’ultima, infine, con cui Papa Giovanni XXIII incoronò la Vergine, in occasione della sua visita a Loreto nell’ottobre 1962, pochi giorni prima dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II. Tutte queste corone – strana sorte! – sono andate perdute: o rubate o distrutte. Resta solo quella di Papa Giovanni, a ricordare un momento di grazia straordinaria che la Chiesa stava per vivere.

Con il suo solito brio, Don Primo Mazzolari, in una delle sue prediche, aveva fatto notare che noi abbiamo la passione di regalare corone alla Vergine Santa, mentre lei, nella sua vita, aveva forse solo la possibilità di coprirsi la testa con un fazzoletto. Aggiungeva poi che, se è vero che Maria è proclamata regina, la sua regalità si esercita in regni che nessuno vuole: la chiamiamo infatti “Regina degli angeli, regina dei patriarchi, regina degli apostoli, regina dei martiri, regina dei veri cristiani, regina delle vergini, regina di tutti i santi”. Si tratta di una regalità spirituale, che pone Maria a fianco dei più deboli, dei perseguitati, dei disprezzati. È come se Maria si facesse guida e portavoce di quelle categorie da lei menzionate nel suo canto del “Magnificat”, che abbiamo ricordato nel concerto precedente: gli umili, gli affamati, i piccoli.

Notiamo difatti che una parola torna due volte nell’antifona, proprio per sottolineare l’aspetto di grande bontà di Maria. Subito dopo del saluto iniziale, si dà alla Madonna il titolo di “madre di misericordia”. E più sotto le si chiede di rivolgere a noi “gli occhi (suoi) misericordiosi”.

Non dovrebbe essere necessario, perché credo che il testo del “Salve regina” lo sappiamo tutti a memoria. Ripetiamolo, comunque, per averlo ben chiaro per la nostra contemplazione.

Salve, Regina, madre di misericordia;
vita, dolcezza e speranza nostra, salve.
A Te ricorriamo, esuli figli di Eva;
a Te sospiriamo, gementi e piangenti
in questa valle di lacrime.
Orsù dunque, avvocata nostra,
rivolgi a noi gli occhi
tuoi misericordiosi.
E mostraci, dopo questo esilio, Gesù,
il frutto benedetto del tuo Seno.
O clemente, o pia,
o dolce Vergine Maria!”

Ed eccoci ora, pronti ad ascoltare il resto del concerto del Maestro Raiser e, in particolare, pronti a gustare la sua improvvisazione sul tema dell’antifona “Salve Regina”. Non so se il Maestro avrà potuto trarre nuove ispirazioni dalle riflessioni che abbiamo condiviso, per la sua creazione. Spero che, almeno per noi, questi pensieri possano aiutarci a gustare meglio questa preghiera nella sua bellezza spirituale e poetica.