Festival organistico lauretano

Quarto concerto
Daniel Matrone, Organo

Loreto, 11 agosto 2009

Il programma musicale di questa sera, offerto dall’abilità artistica del Maestro Daniel Matrone, ci presenta cinque brani, due dei quali sono dedicati al Natale. Il primo, che sarà eseguito subito dopo questa riflessione, di Alexandre Boëly, ha proprio il titolo di “4 Noëls”, e l’altro, di Johann Sebastian Bach, è il “Gloria a Dio”, di cui vedremo insieme il riferimento natalizio.

L’episodio della nascita di Gesù a Betlemme è narrato nei primi capitoli dei Vangeli di Matteo e di Luca. I due racconti sono estremamente sobri, ma la fantasia popolare, aiutata dalle descrizioni fantasiose dei Vangeli Apocrifi, ha arricchito la scena, riempiendola di dettagli minuziosi e spesso simpatici. Basti pensare al modo in cui rappresentiamo il presepio nelle nostre case, nel periodo di Natale. Pensiamo ai presepi che, durante tutto l’anno, possiamo visitare qui a Loreto. Pensiamo infine alla doppia rappresentazione del Natale che, in questa basilica, troviamo scolpita nel rivestimento marmoreo della Santa Casa e quindi dipinta nella Cappella Tedesca.

Osservando queste opere d’arte, possiamo notare alcuni particolari. Gli autori dei bassorilievi del rivestimento distinguono due momenti nel Natale: il primo è l’adorazione dei pastori, mentre il secondo descrive l’arrivo dei Magi dall’oriente. Nella Cappella Tedesca, il Seitz unisce la scena in unico momento, rappresentando da un lato i pastori, che vengono portando come dono i frutti del gregge, e dall’altro i Magi, raffigurati come nobili signori, forse dei re, che offrono al Bambino, in preziosi contenitori, l’oro, l’incenso e la mirra.

Ecco, quindi, che abbiamo i tre modi di rappresentare il Natale e quindi il tre modi di considerare questo evento, che ha cambiato una volta per tutte la storia del mondo. Se pensiamo ai nostri presepi, e se guardiamo le immagini dei pastori ciociari dipinti dal Seitz, con i loro costumi tradizionali, le ciocie, appunto, e le cornamuse, abbiamo un primo approccio, quello più immediato, semplice, popolare. È quello, potremmo dire, che ci si apre attraverso gli occhi grandi e semplici dei pastori, dei poveri, di tutti coloro che si identificano con l’umiltà e la semplicità della nascita del Redentore. Questo modo di vedere il Natale si esprime nelle tante canzoncine natalizie, che fanno parte delle belle tradizioni delle nostre comunità. Di molte di esse non conosciamo neppure il nome degli autori, perché esse sono nate spontaneamente nel tessuto della cultura popolare, come capita ai fiori di campo, che nessuno ha seminato ma che crescono ugualmente e sono tanto belli. Di altre sappiamo chi le ha composte, e anch’esse vanno da composizioni ingenue e carine come “Tu scendi dalle stelle”, di Sant’Alfonso, a brani più esigenti, ma sempre dolci e affettuosi, come “Fai la nanna Bambino” di Brahams.

Quando invece guardiamo l’adorazione dei Magi, abbiamo una rappresentazione più solenne, e saremmo quasi tentati di definirla più formale. L’occhio delle persone colte, o per lo meno di quelle che sanno di essere colte, in genere, non si apre facilmente all’ammirazione immediata, ma resta più serrato, per cogliere bene tutti i dettagli di un evento che si vuole capire. Come conseguenza di questo atteggiamento, abbiamo tante composizioni musicali, che interpretano il fatto miracoloso della nascita di Cristo in una contemplazione che esplora tutte le possibilità offerte dalla gamma cromatica del pentagramma. E qui neppure vale la pena di mettersi a ricordare i diversi autori, perché fin dall’inizio il tema del Natale ha ispirato i più grandi compositori, che, uno dopo l’altro, si sono cimentati a commentare in musica il fatto dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Nel secolo scorso ci sono stati anche musicisti che, seguendo la moda del tempo, hanno voluto descrivere, attraverso la musica, l’evento ricordato. Un autore che non conosco se non per questo brano, Oreste Ravanello, ha composto una pastorale, intitolata “Marcia dei Re Magi”. Quando un mio compagno di seminario la eseguì, al termine della novena dell’Epifania, nella grande basilica romana di Sant’Andrea della Valle, un nostro collega commentò l’esecuzione, piuttosto veloce, dicendo che invece della “Marcia dei Re Magi” si era trattato della “Corsa dei Re Magi”.

Ma veniamo al “Gloria a Dio”, che noi conosciamo soprattutto come inno liturgico, che recitiamo o cantiamo nelle celebrazioni domenicali e festive dell’Eucaristia. L’inizio dell’inno ripete le parole che, nel Vangelo di San Luca, 2,13-14, sono pronunciate dal coro degli angeli. Dice il testo, nella nuova traduzione della Conferenza Episcopale: “E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: ‘Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama’”. Avete sentito che la traduzione del testo greco dell’evangelista è diverso da quella che usiamo nell’inno della Messa, e che adopera l’espressione: “E pace in terra agli uomini di buona volontà”.

In questo caso, il mistero dell’Incarnazione non è guardato con l’occhio semplice dei pastori, né con l’occhio attento dei sapienti, ma è contemplato direttamente dagli angeli, in una visione immediata, che non ha bisogno di spiegazioni.

La tradizione della Chiesa, ha completato questo breve versetto, chiamato inno angelico, aggiungendovi delle espressioni che rispondono al nostro desiderio di lodare Dio. Per questo, il Gloria è chiamato la grande dossologia, ovvero il grande inno di lode. La riflessione della Chiesa ha integrato il testo della lode degli angeli, con una meditazione sulle ragioni per le quali è giusto che noi lodiamo Dio e lo ringraziamo per le sue opere. L’inno continua infatti con una serie di espressioni di lode alla Trinità. Il primo ad essere ricordato è, come è giusto, Dio Padre, del quale si esalta l’immensa gloria, la regalità universale e l’onnipotenza; quindi si fa menzione del Figlio unigenito di Dio, che nell’Incarnazione ha preso il nome di Gesù con il titolo messianico di Cristo e che è il nostro redentore, l’agnello di Dio immolato per cancellare i nostri peccati, e ora è presente in cielo nella gloria del Padre; si chiude infine con il ricordo dello Spirito Santo, unito al Figlio nella gloria del Padre.

Alcuni autori, pensano che il testo intero del Gloria risalga al 3° secolo. Secondo una tradizione, riportata nell’antico testo di storia ecclesiastica, chiamato Liber Pontificalis, sarebbe stato addirittura il Vescovo di Roma Telesforo, che fu papa dal 128 al 138 d.C., a far usare questo inno nel giorno di Natale. L’uso fu poi esteso anche alle domeniche, ma il diritto di cantarlo era riservato per i vescovi. Vedete? Una volta avevamo dei privilegi che ora non abbiamo più! La nostra vita è diventata meno interessante! Perché poi l’uso fu esteso anche ai preti in certe occasioni speciali e infine, verso l’undicesimo secolo, ne fu permesso l’uso a tutti in ogni domenica e festa, ma con l’esclusione dei tempi penitenziali di Avvento e di Quaresima. Il che corrisponde ancora a quello che facciamo noi. 

Ecco quindi che la musica di questa sera ci porta alla riflessione sull’Incarnazione del Figlio di Dio. Possiamo scegliere l’atteggiamento che più ci sembra spontaneo: quello semplice e puro dei pastori, quello attento e curioso dei magi o quello di contemplazione e di lode degli angeli. Mentre ascoltiamo la musica, qui in Basilica, il nostro sguardo scavalca le creazioni più moderne e si posa continuamente sul bassorilievo del Sansovino, con l’annunciazione dell’angelo a Maria. Le varie espressioni di arte, che cogliamo con la vista e con l’udito, ci aiutano a entrare nel mistero, con un senso di gioia e di gratitudine, per le cose belle che Dio ha fatto per noi, e per le cose belle che Dio ci permette di fare per Lui.

Buon ascolto.