Giovanni Paolo II, pace ed Europa

Marielund, 4 novembre 2005

Nello stemma di Papa Benedetto XVI c’è una conchiglia. Secondo la tradizione, essa è il simbolo dei pellegrini, ma è anche legata ad un ricordo nella vita di S. Agostino. In riva al mare, il santo incontrò un bambino che, con una conchiglia versava acqua in una piccola buca che aveva scavato nella sabbia. La sua intenzione, come spiegò al santo vescovo, era di mettere dentro la buca tutta l’acqua del mare. La storia doveva insegnare ad Agostino, grande teologo, sempre impegnato nello sforzo di capire i misteri di Dio, che era per lui impossibile comprendere la realtà di Dio, nello stesso modo in cui era impossibile trasferire tutta l’acqua del mare nella buca nella sabbia.

          Potrei ora sperimentare una simile sensazione, dovendo trattare gli insegnamenti del defunto Papa Giovanni Paolo II sui temi della pace e della missione cristiana dell’Europa. La quantità dei suoi interventi su questi temi è così grande, che diventa un’impresa quasi impossibile riassumerne contenuti e presentare almeno alcuni dei tanti argomenti.

          L’evoluzione dell’insegnamento del Papa è stata anche la risposta della Chiesa a una situazione che è cambiata molto durante i quasi 27 anni del suo pontificato. Tanto per visualizzare simbolicamente questi cambi, dobbiamo ricordare che, quando il Cardinale Karol Woytiła fu eletto Papa, nella sera del 16 ottobre 1978 e prese il nome di Giovanni Paolo II, il presidente degli Stati Uniti d’America era Jimmy Carter, e il capo dell’Unione Sovietica era Leonid Breznev. Questi nomi sembrano oggi lontani di secoli.

          Trattando questo tema, cercherò di offrire solo pochi elementi di interpretazione, per rendere possibile la continuazione della ricerca e l’approfondimento della comprensione.

          C’è però un punto fondamentale che dobbiamo tenere presente, se vogliamo capire il modo in cui questo grande uomo di Chiesa ha compiuto la sua missione. Nella prima parte del suo pontificato, eravamo stupiti della sua resistenza nell’instancabile attività a cui si sottoponeva. Quello che sembrava essere il risultato di un’incredibile forza fisica era in realtà la manifestazione di una grande energia spirituale, risultato di una profonda vita di preghiera. Senza prendere in considerazione la dimensione della fede, non possiamo capire il fenomeno storico che è stato Giovanni Paolo II.

          Dobbiamo cominciare con l’analisi della situazione dell’Europa e del mondo intero nel 1978. Era un mondo profondamente diviso, che soffriva ancora delle conseguenze di due guerre sbagliate: la Prima e la Seconda Guerra Mondiale.

          Quando, nel 1914, l’Europa correva allegramente verso l’inizio della guerra, fu proclamato uno slogan, che affermava che questa sarebbe stata la guerra per finire tutte le guerre. Nell stesso tempo, con un migliore senso di realismo, Papa Benedetto XV parlò della guerra come un inutile massacro, e per questo fu insultato da quelli, come Benito Mussolini, che vedevano nel conflitto la soluzione possibile di tutti i problemi. Dopo quattro anni di stragi e distruzioni, la Conferenza di Pace stabilì tutti gli elementi che avrebbero spinto l’Europa verso la Seconda Guerra Mondiale, con lo smantellamento dell’Impero Austriaco, il conseguente rafforzamento dell’Impero Germanico e la cinica divisione delle colonie, considerate come un bottino a disposizione dei vincitori del conflitto.

          Nel 1939, quando l’Europa stava ancora una volta cadendo in un’altra avventura di guerra, Pio XII supplicò i responsabili delle nazioni, insistendo che nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra. Non fu ascoltato, e le sue raccomandazioni e richieste non furono prese in considerazione, nonostante l’immenso prestigio di cui egli godeva nel campo internazionale. Verso il termine del conflitto, gli Alleati mantennero la richiesta di resa incondizionata da parte delle potenze sconfitte, e gli accordi di pace tra i vincitori stabilirono la divisione del mondo in due intangibili zone di influenza, preparando l’erezione della Cortina di Ferro e l’inizio della Guerra Fredda. I conflitti tra i due blocchi furono trasferiti in Africa e in America Latina, creando nuove divisioni tra paesi con alleanze diverse, secondo le influenze e affiliazioni politiche, e soprattutto per i vantaggi economici legati ai diversi allineamenti. Nessuna attenzione fu data alle nazioni emergenti, con il conseguente peggioramento dello squilibrio tra Nord e Sud, tra colonie e colonizzatori.        

Il progetto di Papa Giovanni Paolo II per l’Europa era basato su quattro convinzioni:

Prima: L’Europa deve respirare con due polmoni. Per la presenza dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti, il processo di unificazione del continente aveva, fino ad allora, considerato soltanto i paesi dell’Europa Occidentale, escludendo completamente l’Orientale, anche dal punto di vista culturale.

          Paolo VI aveva proclamato San Benedetto patrono dell’Europa. Giovanni Paolo II ha aggiunto come co-patroni gli evangelizzatori dei popoli slavi, i due fratelli, Santi Cirillo e Metodio. Ha sempre manifestato un grande rispetto per la tradizione cristiana orientale e ha parlato dell’Europa come estesa dall’Atlantico agli Urali, dal Baltico al Mediterraneo.

          In questo contesto, fondamentalmente religioso, Giovanni Paolo II ha insistito sulle radici cristiane dell’Europa, che dovevano essere riconosciute, se si voleva che l’immagine dell’Europa, nella sua storia e cultura, fosse autentica.   Una chiara espressione di questa convinzione si trova in una dichiarazione pronunciata nel 1984 dall’allora arcivescovo Jean Louis Tauran, Segretario per le relazioni con gli Stati della Segreteria di Stato, quello che è chiamato, con qualche approssimazione, il Ministro degli Esteri Vaticano: “Nell’Europa di Benedetto, di Cirillo e di Metodio le risorse spirituali accumulate nei chiostri hanno pian piano illuminato e trasformato l’umanesimo greco e romano ed anche le energie del mondo germanico, celtico e slavo. Questo continuo dialogo tra fede e culture ha permesso lo stabilirsi di una eredità in cui l’uomo divenne il centro e il protagonista di una certa arte di pensare e di vivere”.                       

Seconda: Una chiara comprensione della dignità della persona umana è più importante della crescita economica e dei progetti socio-politici. Specialmente all’inizio del suo pontificato, era evidente l’attenzione che Giovanni Paolo II poneva all’antropologia, per una comprensione corretta della persona umana e dei suoi diritti e bisogni.

          Il 2 dicembre 1978, poco più di un mese dall’inizio del suo pontificato, Giovanni Paolo II scrisse una lettera al Segretario Generale delle Nazioni Unite, in occasione del 30° anniversario della pubblicazione della Dichiarazione Universale dei Diritti umani. Da questo documento, il Papa cita un importante passaggio: “Il riconoscimento della dignità personale e dei diritti uguali e inalienabili di tutti i membri della famiglia umana costituisce il fondamento della libertà e della pace nel mondo”. Ricorda poi l’insegnamento della lettera Enciclica Pacem in Terris di Giovanni XXIII: “In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona…; e quindi è soggetto di diritti e di doveri, che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili” (n. 9).

          Giovanni Paolo II fece poi un riferimento specifico al rispetto della libertà religiosa: “Il libero esercizio della religione apporta benefici sia agli individui che ai governi. Perciò l’obbligo di rispettare la libertà religiosa ricade su ognuno, sia che si tratti di privati cittadini che di legittima autorità civile. Perché dunque è repressiva e discriminante l’azione praticata contro un enorme numero di cittadini, che hanno dovuto sopportare ogni specie di oppressione, perfino la morte, soltanto al fine di preservare i loro valori spirituali, malgrado non avessero mai cessato di cooperare in tutto ciò che giova al vero progresso civile e sociale del loro paese? Non dovrebbero essi essere oggetto di ammirazione e lode piuttosto che essere considerati come sospetti e criminali?”

          E ancora, nello stesso testo, continua: “La giustizia, la sapienza e il realismo richiedono tutti che le perniciose posizioni del secolarismo siano superate, particolarmente il costringere erroneamente il fatto religioso alla sfera puramente privata. Ad ogni persona deve esser data la possibilità, entro il contesto della nostra vita di insieme, di professare la propria fede e il proprio credo, da sola o con gli altri, in privato e in pubblico”.

          È stato facile, per alcuni osservatori, giustificare in quel momento queste dichiarazioni con l’esperienza precedente di Karol Woytiła nella Polonia comunista. È vero che l’Arcivescovo di Cracovia era stato un lottatore coraggioso, sempre pronto a difendere il suo gregge, ma quello che ha dimostrato, come Romano Pontefice, è stata la capacità di assumere una posizione universale, molto al di sopra dei problemi individuali e regionali, e di esprimerla in un modo molto equilibrato.

Terza: Il ricorso alla guerra, come una possibilità per risolvere i problemi internazionali è condannato senza distinzioni. Il principio dell’esistenza di una guerra giusta non è del tutto eliminato, ma la possibilità di un intervento militare è immensamente ridotto, per l’evoluzione della situazione internazionale.

          Prima di tutto, è ora un fatto concreto l’esistenza di una autorità internazionale, come l’Organizzazione delle Nazioni Unite, che è, o dovrebbe essere, capace di promuovere una mediazione tra entità o paesi in conflitto, dando ad essi uno spazio maggiore per il dialogo e il negoziato, ed evitando i malintesi e gli inganni che in passato hanno provocato l’inizio di confronti violenti. Gli organismi internazionali possono anche promuovere un più giusto sviluppo globale, evitando ingiustizie economiche e sociali e discriminazioni etniche e religiose, che sono spesso all’origine dei conflitti.   

          In secondo luogo, avendo una chiara comprensione dell’immenso potere dei mezzi moderni di distruzione, è ora più difficile che in passato considerare che il ricorso alla guerra possa essere considerato un accettabile male minore. La possibilità di successo in un conflitto armato è sempre più difficile da garantire, al punto che oggi tutti quelli che prendono parte a una guerra sono di fatto perdenti, senza più distinzione tra quelli che vincono e quelli che sono stati sconfitti. Una guerra è in realtà una sconfitta per tutti. 

          Ugualmente chiara, e per questo ricordata nel testo del “Catechismo della Chiesa Cattolica”, è la condanna del commercio internazionale di armi, come una delle ragioni che possono sabotare il bene comune nazionale e internazionale. Questo aspetto dovrebbe essere preso molto seriamente, considerando che la coesistenza pacifica in molte società è resa impossibile per la presenza di una enorme quantità di armi, messe a disposizione di chiunque voglia servirsene. Dovremmo anche essere coscienti, con nostra vergogna, del fatto che il commercio delle armi ha per lo più la sua origine dai nostri pacifici paesi europei.

          Ci sono stati anche dei casi in cui il Papa stesso ha chiesto un intervento della comunità internazionale, in casi di emergenza umanitaria, come è successo per gli stati membri della ex Federazione Jugoslava. Nello sfaldamento della SFRJ, la situazione di violenza che ne conseguì era talmente estrema, che era impossibile immaginare che ciascuno di quei paesi potesse trovare in se stesso la capacità di stabilire qualche forma di accordo pacifico.            

          Ma Giovanni Paolo II ha condannato ogni ricorso alla guerra, con la pretesa intenzione di risolvere dei casi specifici. Egli ha insistito, in tutti i modi possibili, che c’era ancora spazio per negoziati, che la diplomazia aveva bisogno di altre opportunità e che la violenza non avrebbe potuto risolvere il problema, qualunque esso fosse. Il caso delle guerre nel Kosovo, e più tardi, in una maniera ancora più evidente, in Iraq, hanno dimostrato drammaticamente quanto il vecchio Pontefice avesse ragione e quanto sarebbe stato meglio se i potenti del mondo avessero ascoltato questo disarmato profeta di pace. Ricordiamo tutti la frase, spesso ripetuta prima dell’inizio dell’attacco contro Saddam Hussein: “È facile cominciare una guerra, ma è difficile finirla”.

Quarta: La giustizia sociale è lo strumento fondamentale per stabilire e conservare la pace. Questa convinzione segue la linea dell’insegnamento sociale della Chiesa, come sviluppato e chiarito durante l’ultimo secolo del secondo millennio, con le grandi lettere encicliche di Leone XIII, Pio XI, Giovanni XXIII e Paolo VI, e con i messaggi di Pio XII, specialmente durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel corso dei quasi 27 anni del suo pontificato, Giovanni Paolo II ha adottato una serie di slogan, per chiarire e rendere il suo insegnamento chiaro e facile da ricordare: La giustizia è la condizione della pace, Lo sviluppo è il nuovo nome della pace, Sviluppo e solidarietà, Solidarietà per permettere a tutti i popoli di essere i costruttori del loro destino, Interdipendenza di paesi ricchi e poveri.

          Se talvolta le società ricche ed egoiste dei nostri paesi sviluppati hanno giudicato il Papa conservatore e fuori moda, specialmente per la sua difesa della dignità della vita umana, nessuno può negare il suo grande merito nel richiamare l’attenzione del mondo ai problemi creati dallo sfruttamento dei paesi poveri e dallo squilibrio sociale, che ora più che mai esistono nel nostro pianeta. Giovanni Paolo II è stato giustamente considerato, specialmente dai responsabili dei paesi meno privilegiati, il loro più grande amico e alleato.         

          Abbiamo iniziato la nostra analisi, considerando la situazione dell’Europa e del mondo, al momento in cui il Cardinale Woytiła fu eletto Papa. Quale è la situazione oggi, 27 anni dopo, e dopo la sua morte?

          Molte cose sono cambiate: l’Europa non è più divisa dalla Cortina di ferro, crollata insieme con il muro di Berlino, che era diventato il simbolo più evidente della ferita provocata nel cuore del Vecchio Continente. L’Unione Sovietica, con il suo supporto ideologico, il comunismo sovietico, è stata smantellata ed è ora parte di una storia tragica, che alcuni pensavano non potesse mai finire. Il ruolo giocato da Giovanni Paolo II in questo processo è stato riconosciuto da tutti, ma, quando, immediatamente dopo gli eventi di Berlino, un giornalista gli chiese di questo, il Papa rispose citando una frase del Vangelo: “Siamo solo servi inutili”.

          Possiamo dire che questa nuova Europa è diventata quella realtà che Giovanni Paolo II sognava, nella sua visione? Certamente no. L’Unione Europea considera se stessa più come un grande mercato, che come un posto di cultura e di civiltà. I valori tradizionali, che hanno modellato l’identità del continente lungo i secoli sono stati dimenticati, mentre nuovi valori e nuovi diritti sono imposti.

          In tutto il mondo, la guerra è universalmente condannata, in teoria, ma in pratica è ancora considerata un buon sistema per risolvere i problemi. Tutti sappiamo che questo non è vero, ma delle edizioni aggiornate della vecchia diplomazia delle cannoniere sono ancora di moda. Il commercio delle armi, specialmente piccole armi, è più forte che mai, al punto che, secondo la mia esperienza personale, anche paesi pacifici come il Kenya ne sono invasi, e, come conseguenza, sono resi violenti, pericolosi e instabili.

          Il debito esterno esercita ancora una forte pressione sui paesi poveri, sabotando i loro sforzi per uno sviluppo sociale ed economico. I vincoli di solidarietà, che dovrebbero unire i diversi paesi del mondo, continuano ad essere vincoli di sfruttamento commerciale e di totale dipendenza economica. Di conseguenza, il commercio internazionale esercita pressioni ingiuste verso i paesi più poveri, produttori di materie prime, che sono destinati ad essere incapaci di far fronte alla forte concorrenza dei paesi o dei gruppi di paesi più sviluppati.      

          Se ora ci chiediamo qual è l’eredità di Giovanni Paolo II, potrebbe sembrare che siamo costretti a trarre delle conclusioni pessimistiche. Parlando da un punto di vista umano, dobbiamo considerarla un fallimento? Il Papa defunto sapeva che, diversamente da altri importanti personaggi del mondo, egli non poteva contare sul potere del denaro, delle armi, e neppure della simpatia spontanea dei mezzi di comunicazione. Come la Chiesa, di cui era il primo responsabile, egli poteva contare solo sulla forza della ragione e della verità. Non ha mai preteso di essere niente altro che un profeta disarmato, o un servo inutile. In molte situazioni, è già evidente che quelli che non hanno voluto ascoltarlo hanno fallito. E il mondo sta ancora pagando il prezzo dei grossi errori di pochi.

          Quanto, nella tarda sera del 2 aprile 2005, Giovanni Paolo II morì, le reazioni di rammarico e di dolore, che furono registrate in ogni parte del mondo, sono state senza nessun precedente nella storia. La partecipazione alla celebrazione del suo funerale da parte dei grandi del mondo, di autorità religiose e di milioni di gente semplice, da ogni regione del globo e da ogni origine e convinzione, è stata straordinaria. Mesi più tardi, quando il suo successore ha già preso con mano ferma la direzione della Chiesa, sembra che nessuno abbia dimenticato il Papa defunto. Il messaggio e la testimonianza lasciati da Giovanni Paolo II sono ancora vivi, e diventano più eloquenti con la dimostrazione dei tristi fallimenti, quando sono state seguite altre direzioni.