I graffiti nella Santa Casa di Loreto

Giuseppe Santarelli, “I graffiti nella Santa Casa di Loreto” (3ª ed.), Edizioni Santa Casa, 2010.

PREFAZIONE

La parola “graffiti” fa subito pensare alle vandaliche decorazioni di tanti edifici delle nostre città, con scarabocchi di vario tipo e varia dimensione.  Alcuni non si possono capire, alcuni altri sarebbe meglio non capirli.  Talvolta gli “artisti” lasciano inciso il loro nome o qualche messaggio, di amore folle o di folle protesta.  Ogni volta sarebbe tanto meglio se non l’avessero fatto.

            Ma ci sono anche graffiti che, tracciati con cattiva intenzione, hanno avuto conseguenze positive: c’è voluta la blasfema spavalderia di uno dei compagni di Anassimeno, che rappresentò il Dio del suo amico come un crocifisso con la testa di asino, per avere la commovente testimonianza che la fede cristiana era presente anche nel collegio dei paggi dell’imperatore di Roma.

            I graffiti a cui è dedicato lo studio di P. Giuseppe Santarelli, OFM cap., sono di natura diversa: non manifestano protesta né sono frutto di vandalismo, ma, da parte degli antichi devoti visitatori della “camera di Maria”, esprimono la fede nell’incarnazione del Figlio di Dio, che essi sapevano essere avvenuta tra le tre pareti di quel semplice edificio.

            Iscrizioni cristologiche, quindi, che, per il loro stile e nell’uso di lettere greche ed ebraiche, rivelano la loro grande antichità e la quasi certa origine paleocristiana. Sono testimonianze oggettive della provenienza mediorientale della Santa Casa e possono porre la parola fine alla disputa sulla autenticità delle tre pareti di pietra conservate all’interno della Basilica Lauretana e racchiuse nel prezioso rivestimento marmoreo di Andrea Sansovino e dei suoi collaboratori.

            Qui come in altri casi, gli anonimi devoti che, con mano incerta, graffiarono la loro professione di fede, hanno compiuto un gesto che per noi è di grande utilità, e per questo meritano la nostra gratitudine.  Per ricordare solo due esempi, dobbiamo un grande grazie a colui che incise il “kaire Maria” di Nazareth ed a colui che scrisse il “Petros eni” delle Grotte Vaticane.  Un grazie sincero che diciamo anche a coloro che hanno lasciato il segno della loro fede sulle pietre nazarene, ora lauretane, identificando per noi il luogo del “sì” di Maria, lo stesso luogo in cui “il Verbo si fece carne” (Gv 1,14).

            La nostra gratitudine va anche al P. Santarelli, che con attenta analisi, rivela per noi il significato di questi segni, in uno studio che, giustamente, attira l’attenzione di molti ed è ora presentato di nuovo, nella sua terza edizione, riveduta e aggiornata.

Mi auguro che la pubblicazione, ora presentata dalle “Edizioni Santa Casa”, continui ad avere successo perché attraverso la sua lettura siano sempre più numerosi quelli che ascoltano il messaggio che la reliquia, collocata per disegno della Provvidenza su queste colline, trasmette con la sua presenza, silenziosa eppure tanto eloquente.

Giovanni Tonucci
Arcivescovo Delegato Pontificio