I lupini rubati

Un giorno, nel pomeriggio, il solito Riccardo venne a chiamarmi per uscire e fare qualche passo insieme. Prima di scendere, aprii un cassetto della credenza, dove sapevo che c’erano dei soldi, e presi un biglietto di 5 lire.

            A poca distanza da casa, proprio a fianco dell’edicola della Madonna della Quercia, c’era il carrettino della Rosina, che vendeva sementine, lupini, carrube, liquirizia e altre cose del genere. Lì comperai 5 lire di lupini, e ricevetti un cartoccio che ricordo ancora come veramente grande. L’idea era di andare insieme ai Passeggi e lì mangiarli tutti.

            Per mia disgrazia, proprio in quel momento passava mio padre, in bicicletta. Mi vide e capì subito che c’era qualcosa che non funzionava. La sua domanda fu immediata: “Chi ti ha dato i soldi?” Non credo di avere risposto, perché l’unica cosa che avrei potuto dire era: “Li ho rubati”.

            La sentenza fu immediata: sequestrati i lupini e sberle somministrate sul posto, di fronte a tutti e soprattutto di fronte a Riccardo, con il quale avevo fatto il gradasso. I lupini furono portati a casa, e babbo li diede ai miei fratelli. Non ne toccai neppure uno.

            Ricordo che, uno o due anni dopo, in quinta elementare, riferii l’episodio in un pensierino per la scuola. Descrissi la scena in tutta la sua spietata realtà, con mio padre che mi “aveva menato per un quarto d’ora”. Questo era naturalmente esagerato, ma lo scopo era quello di arrivare all’applicazione morale, nella quale dichiaravo che la lezione mi era servita e che da allora in poi non avevo più rubato niente.

Foto di famiglia (anno 1948)