I ragazzi di Santa Cecilia

Andando a Roma, per seguire i corsi dell’Accademia Ecclesiastica, mi ero ripromesso di tentare di prendere contatto con alcuni dei ragazzi e delle ragazze che avevo conosciuto a Marotta, nella Colonia Santa Cecilia. Adoperando del tempo rubato all’università, che frequentai pochissimo, e servendomi del motorino che avevo portato da Fano, mi misi all’opera e riuscii a creare alcune buone relazioni.

            Incontrai alcuni di loro e anche i loro genitori, o per lo meno, quelli di loro che erano disponibili. Non sempre il primo impatto è stato facile, ma pian piano le mie visite si svolsero sempre in un clima di cordialità.

            Un caso si rivelò particolarmente difficile. Un ragazzino, figlio di una prostituta, non aveva neppure concluso le scuole elementari, perché la madre non gli permetteva di frequentare. Secondo la giovane donna che viveva allora con il padre, con il quale ero anche entrato in contatto, la madre lo usava come sguattero per i servizi del suo mestiere.

            Provai a convincere la donna, che abitava dalle parti di Campo dei Fiori, dell’importanza che suo figlio avesse almeno la licenza elementare. Non ricordo come, ma riuscii ad ottenere un posto in una scuola, fornita di internato, in Umbria.

            Quando tutto sembrava andare avanti per il meglio, la madre andò a riprendere suo figlio e la speranza di concludere l’anno di scuola svanì. Feci un estremo tentativo, chiamando al telefono il ragazzo, che sentii molto in disagio. Cominciò a dirmi che aveva sentito dire che io avessi divulgato alcune voci umilianti su di lui. Poi precisò che lui non ci credeva ma che così aveva sentito. Cercai di capire meglio di cosa mi stesse parlando, quando la madre intervenne nella conversazione e cominciò a insultarmi con parole volgari e minacce neppure tanto velate.

            Terminata la conversazione, che non avevo nessuna ragione di continuare, parlai di tutto con il Presidente dell’Accademia, che era in quell’anno Monsignor Salvatore Pappalardo. Mi consigliò di lasciar cadere la cosa e di non occuparmi più di questi ragazzi. L’intenzione era buona, ma con certa gente non era sufficiente avere buone intenzioni.

            Così la storia fu chiusa definitivamente. Mi è rimasta soltanto la pena per quel ragazzino, rimasto privo di una minima educazione di base per la grettezza della madre. Di loro non seppi più nulla.