Mons. Jorge Manrique, Arcivescovo emerito di La Paz, aveva la passione di affibbiare ai suoi confratelli dei soprannomi, che lui solo utilizzava. Ne ricordo alcuni: il Cardinale Maurer era “Manso Cordero”; Julio Terrazas era “el Quirquincho” (per ricordare l’armadillo, animaletto tipico dell’altipiano, dove Terrazas era vescovo); Edmundo Abastoflor era “Abasto y basta”; Jesús Juárez era “Jesusito elevado por monjitas”. La trovata a mio parere migliore era stata quella usata nei confronti di un segretario della Nunziatura, che si chiama Renato. Appena disse il suo nome, Marique reagì: “Allora Nisiquis!”. E spiegò l’applicazione, citando il vangelo di Giovanni: “Nisi quis renatus fuerit ex aqua et spiritu…” (Gv 3,5).
Una cosa che il caro Manrique non sapeva, o che forse fingeva di non sapere, era che anche per lui i suoi confratelli avevano pensato a un soprannome: “chuño” o “chuñito”, che sarebbe la patata disidratata, usata da secoli dai nativi soprattutto dell’altipiano. L’immagine faceva riferimento alla piccola dimensione e all’aspetto rugoso del vecchio Vescovo.
Entrato in qualche confidenza con lui, gli chiesi di trovare un soprannome anche per me. Rifiutò di farlo, perché, diceva, non avrebbe osato dare un soprannome al Rappresentante del Papa. Poco dopo la prima Pasqua vissuta in Bolivia, venne in Nunziatura per una visita di cortesia. Dato che voleva sapere come stavo, gli dissi che ero molto rattristato, perché, amministrando battesimi, avevo dato il nome a ciascuno dei bambini, mentre io ero ancora senza nome.
L’argomento lo convinse, e qualche giorno dopo cominciò a chiamarmi “pimpollo”, che vuol dire “bocciolo”, ma può essere usato scherzosamente per indicare un giovanotto. Soprannome simpatico ma per me ormai decisamente fuori stagione.