Il Cardinale Léger a Yaoundé

Quando ricevetti la comunicazione della mia prima nomina, come addetto di Nunziatura in Camerun, tutti quelli in Segreteria di Stato che fecero dei commenti, aggiungevano sempre: “E poi c’è il cardinale Léger”. Lo stesso fece il Sostituto, Monsignor Benelli, senza spiegare altro; lo stesso fece Casaroli, il quale in più mi rimproverò, perché, all’udire il solito nome, avevo alzato gli occhi al cielo. Ma non disse di più.

            Finalmente, quando andai alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ne parlai con il Segretario, Mons. Sergio Pignedoli, più tardi cardinale. Fu lui quello che, finalmente, mi spiegò la situazione, che ebbi poi a verificare di persona e che riassumo in breve.

            Il cardinale Paul Émile Léger era arcivescovo di Montréal, in Canada. Dopo diversi anni del suo episcopato, cominciò a chiedere di essere liberato dall’onere della diocesi, per potersi recare in Africa, per dedicarsi all’assistenza dei lebbrosi. La Santa Sede resistette fino all’impossibile perché restasse, ma alla fine dovette cedere, con poca convinzione e con molto timore delle conseguenze. E aveva ragione.

            Tra i paesi dell’Africa, fu scelto il Camerun, con il quale la Chiesa del Canada aveva una lunga storia di collaborazione missionaria. Per cui Léger si recò a Yaoundé e di lì a Bafia, sede di un grande lebbrosario. Lo attendeva una casetta, appositamente costruita, ed egli cominciò la sua missione. Il problema nacque quando si dovette decidere che cosa il cardinale avrebbe concretamente fatto. Perché potesse aiutare nell’assistenza medica, sarebbe stato necessario seguire un corso almeno infermieristico, ma lui non volle. Per aiutare nella catechesi, sarebbe stato necessario imparare la lingua locale, e lui non volle. In definitiva, il rischio era quello che restasse isolato in casa, con l’unica alternativa di andare ogni tanto a visitare le abitazioni dei malati e il posto medico, e distribuire caramelle ai bambini.

            Un giornalista canadese, arrivato apposta per verificare la situazione, si rese conto di tutto questo e intervistò il Vescovo di Bafia, lo spiritano francese Loucheur. Alla domanda su cosa stesse facendo il cardinale nel lebbrosario, questi parlò vagamente dell’importanza della sua testimonianza e del grande esempio che Léger stava dando alla Chiesa intera. Alla precisa domanda se il cardinale aiutasse a medicare i lebbrosi, la risposta fu negativa: il lebbrosario aveva il proprio personale, competente e dedicato. Alla domanda se il cardinale fornisse assistenza religiosa ai lebbrosi, la riposta fu la stessa. Il giornalista tornò in Canada e pubblicò un articolo che, semplicemente, affermava. “Il cardinale Léger in Camerun non sta facendo nulla”.

            La reazione di Léger fu di profonda irritazione e la decisione fu immediata: lasciò Bafia e si rifugiò a Yaoundé. Qui, ospite dell’arcivescovo, concepì un diverso progetto: un centro per bambini afflitti da qualche forma di deficienza fisica. Sostenuto da un organismo appositamente creato – “Le opere del cardinale Léger” – il centro prese forma e fu presto pronto per l’inaugurazione. Nel frattempo, il cardinale cominciò a vivere in un camper, vicino al centro stesso, dove già i primi bambini furono ospitati e curati.

            In tutto questo tempo, il Nunzio Apostolico, Mons. Jean Jadot, si prese cura del porporato, visitandolo e invitandolo spesso in Nunziatura, per un pranzo o una cena. Talvolta fu anche ospite d’onore a pranzi di rappresentanza. A seconda dei giorni, poteva essere la persona più amabile e divertente, sempre pronto a raccontare storie con un linguaggio elegante e arguto nello stesso tempo. Altre volte, però, era come avere un pezzo di ghiaccio al centro della tavola, e ogni conversazione diventava impossibile.

            Una volta conclusa l’impresa della costruzione, il Centro andava avanti per conto proprio, e Léger si ritrovava nella situazione dell’inizio, di non sapere cosa fare. Cominciò a chiedere di essere chiamato a Roma per qualche incarico in Curia. Senza mai dirlo, ma facendolo capire chiaramente, avrebbe desiderato diventare Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Ma a Roma nessuno lo voleva, per tante ragioni, non ultima la facilità con la quale il cardinale cambiava di umore e di atteggiamenti.

            Finalmente, gli fu offerto un ruolo di nessuna importanza, come membro di un Segretariato – non ricordo neppure quale. La notizia fu pubblicata con una certa enfasi, con la spiegazione che, in conseguenza, il cardinale avrebbe dovuto assentarsi spesso e per lunghi periodi da Yaoundé.

            Alcuni anni dopo, il povero cardinale, ormai definitivamente fuori dall’Africa, ricevette un bel tributo dal papa Paolo VI. Léger andò nell’aula delle udienze, ancora chiamata Aula Nervi, e prese parte all’incontro seduto nella terza o quarta fila, in mezzo alla gente. Il papa lo vide, o ne fu avvertito. In ogni modo, durante l’udienza, richiamò l’attenzione dei pellegrini su “quel sacerdote con un cappotto grigio, nella terza fila dell’aula”, e spiegò a tutti chi era e che cosa aveva fatto. Ci fu un grande applauso e il cardinale Léger, che si era alzato, si sentì commosso e appagato. Lo vidi poco dopo, all’ascensore della Segreteria di Stato ed ebbi l’impressione che vivesse ancora in uno stato di visione beatifica.