Il Messaggero, in occasione del 20° anniversario dell’Ordinazione episcopale

5 gennaio 2010

D – Quale augurio rivolge ai cittadini di Loreto all’inizio dell’anno?

R- Un augurio che potrebbe sembrare persino banale: che qui a Loreto possiamo essere tutti felici insieme. Ma non c’è nulla di banale nella felicità che è il frutto della carità reciproca, della comprensione e della collaborazione sincera per rendere questa città privilegiata un luogo di grazia per tutti.

D – Vuole condividere un ricordo, da questi 20 anni di episcopato?

R – I ricordi sono tanti e non potrei sceglierne uno in particolare. Ma posso menzionare un atteggiamento nel quale ho cercato di mettermi ogni volta che ho cambiato il luogo della mia missione: il voler cominciare da zero, sapendo di non conoscere nulla del paese e della gente che incontravo. Questo mi ha dato la possibilità di scoprire tante cose nuove, in grandissima parte molto belle.

D – Guardando al passato, ha qualche rimpianto o rammarico?

R – Se guardo indietro, posso ricordare tanti errori che ho fatto e tante cose giuste che non sono stato capace di fare. Ma non ho rimpianti, perché metto tutto in mano alla misericordia del Signore. Come Vescovo di Loreto, ancora relativamente nuovo, posso solo dire che non tutto quello che desidero è stato ancora fatto. Ma questo non mi preoccupa: sono paziente e tenace, e sono anche capace di cambiare parere e di dare ragione a chi la pensa in maniera diversa, se le sue ragioni mi sembrano migliori delle mie. Il che, detto tra noi, accade spesso.

D – Difficoltà particolari?

R – A parte la stanchezza che, talvolta, diventa una compagna abituale, ho provato più volte la sensazione di essere sconfitto. Ma normalmente questo è accaduto quando pensavo che il mio lavoro si rivolgeva a qualcosa di mio, mentre invece avrei dovuto sempre capire che si tratta di un’opera di Dio. Del resto, anche per chi è sconfitto ci sono prove di appello. Ma non è piacevole sentirsi dire: “Avevi ragione tu”, quando era ormai troppo tardi.

D – Come giudica il ministero di Papa Benedetto?

R – Mi sembra che Papa Benedetto stia camminando nella direzione tracciata dai suoi predecessori, nel desiderio di approfondire il messaggio e di favorirne l’accettazione. Il suo parlare è semplice ed efficace, non cerca effetti speciali ma raggiunge il cuore di chi lo ascolta. Quando si trova di fronte alle folle, sembra sempre dire: “Non mi applaudite, ma accogliete nella vostra vita le parole che vi dico”.

D – Nel mondo, ancora oggi sono molti i conflitti in corso.

R – La storia ha insegnato a dismisura che la violenza, qualunque ne sia la ragione, è il cammino migliore per creare maggiori ingiustizie. Il porgere l’altra guancia, se correttamente interpretato e non letto come un buonismo ingenuo, non solo è ancora un giusto insegnamento, ma è l’unico che può funzionare. Se guardiamo in giro, possiamo contemplare i risultati che la violenza provoca dovunque. La sfida del perdono è l’unica strada ancora da provare e per la quale vale la pena correre il rischio.

D – Che impressione ha delle Marche e della sua gente?

R – Delle Marche ammiro la bellezza discreta e la laboriosità dei suoi cittadini. A Loreto, sento anche le prove di una religiosità profonda e saldamente attaccata a belle tradizioni familiari e di comunità. In questo momento potrei biasimare la debolezza della nostra economia, ma questa non è certo da attribuire ai nostri imprenditori, che ne soffrono anch’essi. Un difetto molto nostro, che si sente indipendentemente dal momento che viviamo, è una certa mancanza di generosità. Questa nasce forse da una cultura attaccata alla terra, e che privilegia il risparmio. Ma va pur detto che noi marchigiani tendiamo a non essere molto generosi. Qualcuno potrebbe accusarci di avarizia, ma questo forse è troppo.

D – Lei ha viaggiato molto. Come si trova ora, fermo a Loreto?

R – Negli anni vissuti nel servizio diplomatico della Santa Sede, sono andato in giro per il mondo ed ho sperimentato i diversi modi di vivere e di esprimere la nostra fede. Ora, qui a Loreto, potrei dire che è il mondo a venire a noi e a mostrare la varietà delle espressioni di fede e devozione. La comunità di Loreto ha il grande privilegio di essere continuamente esposta ad una dimensione universale della fede, che potrebbe liberarla dal pericolo di cadere nel provincialismo, tipico delle piccole comunità. Si tratta di una opportunità unica, che spero non sia perduta.

D – Qual è, secondo lei, la specifica caratteristica della città di Loreto?

R – Loreto è nata attorno alla Santa Casa ed è cresciuta nella riflessione sul significato di questa reliquia straordinaria. L’arte e la cultura, che hanno fatto di Loreto una città unica, sono emanazione di fede e di devozione. La nostra proposta è quella di aiutare ogni pellegrino a capire il grande valore che ha il santuario, anche attraverso la contemplazione delle espressioni di arte che circondano le povere pareti della Casa di Maria. Il mio desiderio è quello di offrire ai pellegrini un santuario che si estenda in tutta la città, e in cui ogni elemento contribuisca ad arricchire la comprensione del ruolo di Maria nella nostra vita e quindi, in definitiva, alimenti e rafforzi la nostra vita di fede. Tutti i loretani hanno – e non so se mi si permette di dire: abbiamo – la missione di lavorare insieme per raggiungere questo fine. Al di là delle difficoltà tecniche che si possono incontrare, credo che questa convinzione sia largamente condivisa.