Il Nunzio Apostolico Mons. Pio Laghi

Essere trasferito alla Nunziatura degli Stati Uniti è stata per me una grossa soddisfazione. L’importanza della missione era ovvia. In più, mi piaceva il poter lavorare sotto la direzione di Monsignor Pio Laghi, che conoscevo da molti anni e che sapevo essere tra i migliori diplomatici al servizio della Santa Sede.

            Estremamente competente, aveva un grande capacità per dirigere il lavoro. In quegli anni, in Nunziatura eravamo tre collaboratori di ruolo diplomatico e quattro sacerdoti americani, come segretari locali. Tutti erano capaci e competenti. Sotto la direzione del Nunzio, si lavorava tanto ma senza che se ne sentisse il peso. Laghi teneva la situazione sotto controllo, anche se non scendeva quasi mai nel corridoio degli uffici. Ci lasciava lavorare, ma si rendeva conto di tutto.

            Proprio al mio ingresso nell’edificio della Nunziatura, il 10 luglio 1987, Timothy Dolan, che mi accolse, mi disse che tutti insieme saremmo stati “a happy family – una famiglia felice”. Ho potuto constatare che questo era vero, e il merito, in grandissima parte, era proprio del Nunzio Laghi.

            Nei due anni e mezzo della mia permanenza a Washington, ho notato più volte come il Nunzio avesse una speciale attenzione per i suoi collaboratori, e in modo particolare per i diplomatici. Più volte, parlando con me, che ero il più anziano, aveva espresso qualche preoccupazione per il modo di agire di altri, sperando che io potessi intervenire in maniera amichevole, là dove i suoi richiami potevano essere ricevuti come rimproveri. In alcune occasioni, mi ha anche spiegato alcuni aspetti del nostro servizio, con la ovvia intenzione di prepararmi alla nomina a capo missione, che lui sapeva non essere più molto lontana.

            La capacità di lavoro di Laghi era straordinaria. Quando tornava a Washington, dopo un’assenza di qualche giorno, voleva vedere subito il lavoro che, in sua assenza, avevamo fatto. Una volta, dato che sarebbe tornato verso le 11 di sera, presi l’iniziativa di trattenere nel mio ufficio le pratiche già svolte, in modo che le vedesse il giorno dopo. Ne fui aspramente rimproverato: “Voglio vedere subito quello che avete fatto”. Il bello è che, per quanto numerosi fossero i documenti che lo aspettavano, la mattina seguente li aveva già visti e corretti tutti.

            Accanto a queste belle qualità, c’era il suo carattere, che potrei semplicemente definire “romagnolo”. Qualche volta si lasciava prendere da momenti di impazienza o di entusiasmo, ma ben presto ritrovava il suo equilibrio e, comunque, non perdeva mai la sua razionalità. In questo, potevo vedere in lui molti dei modi di essere e di fare di Monsignor Silvestrini.

            Un suo comportamento un po’ discutibile, almeno da parte mia, era l’accettare di ricevere in udienza persone che poi, una volta che erano venute per l’appuntamento, non voleva vedere, mandando me al posto suo. Questo voleva dire che mi trovavo di fronte a persone deluse, perché si aspettavano di incontrare il Nunzio, e dovevano accontentarsi di un semplice prete, per quanto con il titolo di Prelato d’onore e con il grado di Consigliere. In queste situazioni, il mio sforzo doveva essere duplice: scusare il Nunzio, che era impedito di incontrare l’ospite per impegni inderogabili, e poi rendere la conversazione il più gradevole e interessante possibile. Diciamo che per me è stata spesso una grossa perdita di tempo, resa però meno sgradevole dalla constatazione che, non di rado, ho imparato cose nuove ed ho capito meglio certe situazioni di quel grande paese e di quella vivacissima Chiesa.

Il Nunzio Pio Laghi

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