Il valore del silenzio

Per una lunga stagione, tra la Santa Sede e la Conferenza Episcopale da una parte, e il Governo Italiano dall’altra, ci fu una disputa sul trattamento da riservare alle IPAB, che una legge aveva assegnato ai comuni ma che erano di pertinenza della Chiesa. Storia complicata e noiosa, risolta alla fine con la dichiarazione di incostituzionalità della legge.

            Le riunioni si tenevano sempre nella sede romana della CEI e io, insieme con un mio collega, dovevo esserci per rappresentare il Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa, ora più banalmente chiamato Seconda Sezione della Segreteria di Stato.

            Dal principio alla fine, non sono riuscito a capire niente della questione, per cui seguivo attentamente gli interventi di altri, ma stavo sempre zitto. L’unica alternativa era quella di esprimere mentalmente giudizi su quelli che parlavano, giudizi in genere negativi. Più volte mi sono detto che sarebbe stato meglio per l’uno o per l’altro fare quello che facevo io: stare zitto.

            Dopo diversi mesi di questo andazzo, qualcuno mi riferì il parere di uno dei nostri interlocutori. Impressionato dal mio silenzio e dalla mia espressione assolutamente impassibile, si era convinto di aver capito chi fosse al comando di tutto: “Tace, ma è lui quello che conta”.

            C’è un detto latino, che sottolinea proprio questo fatto: “Si taces, certe non erras”, che potrei tradurre: se non apri bocca, farai sempre bella figura.