La Chiesa Cattolica e l’AIDS in Africa

NB. Questa conversazione mi era stata chiesta da alcuni persone cattoliche, che mi avevano preannunciato una reazione polemica da parte degli ascoltatori, con contestazioni e domande capziose.
In realtà ho avuto solo un ascolto attento e nessuna reazione negativa.

Il 10 luglio 1987 stavo volando verso gli Stati Uniti, per raggiungere la mia nuova sede di lavoro. Ero stato trasferito da Belgrado, allora capitale della Jugoslavia, alla Nunziatura Apostolica di Washington. Un passeggero al mio fianco, dopo aver verificato che ero un prete cattolico, mi disse: “Dovreste essere contenti della crisi dell’AIDS, perché prova che avete ragione”. Alla mia domanda di chiarire l’idea, spiegò che quello che stava accadendo dimostrava la saggezza dell’insegnamento della Chiesa sulla sessualità, e aggiunse che, a suo parere, molti di più avrebbero seguito quello che noi predicavamo, per paura del contagio. Risposi che c’era poco da rallegrarsi per una tragedia simile e che comunque le scelte chieste dal Vangelo dovevano nascere dall’amore e non dalla paura.

         Un anno più tardi, a Washington, il Nunzio mi chiese di ascoltare due signore, che si definivano “concerned catholics – cattoliche preoccupate”. La loro preoccupazione era quella di vedere la Chiesa dirigersi in una direzione sbagliata, per colpa soprattutto dei vescovi. Erano fortemente convinte che l’AIDS fosse una punizione di Dio per le orribili azioni che venivano compiute. Naturalmente si riferivano ai comportamenti omosessuali. Cercai di far loro notare che c’erano azioni molto peggiori, come ad esempio l’uccisione di una creatura innocente con l’aborto, ma stranamente Dio non era intervenuto nello stesso modo contro di esse. Pensavano forse che il nostro Dio fosse distratto e malamente informato? Non credo che abbiano lasciato la Nunziatura con una convinzione diversa.

         Sono due piccoli episodi, che mostrano la difficoltà di capire un fenomeno come l’AIDS, che è ancora senza una spiegazione soddisfacente – qual è la sua origine e quale ne è la causa? –  e senza una soluzione – come curarlo?

         Durante gli anni della mia missione in Bolivia, la presenza di malati di AIDS sembrava piuttosto limitata. Se ne parlava come di un “problema brasiliano”, in riferimento ai comportamenti omosessuali, rifiutati dalla mentalità “machista” predominante nel paese e attribuiti esclusivamente agli abitanti del paese vicino. Ricordo di aver incontrato un solo malato di AIDS, recluso nella prigione di “San Pedro”, a La Paz. Condannato per violenza sessuale, era tenuto isolato dagli altri per evitare contagi, in un settore della prigione riservata solo a lui. Lo avevano soprannominato “Caruso”, perché cantava sempre. Di lui non ho saputo più nulla. 

         Nel giugno del 1996 arrivai in Africa, in qualità di Nunzio Apostolico in Kenya. Lì la presenza dell’HIV-AIDS era molto evidente, con tanti casi conosciuti, tante vittime, e la sensazione che si trattasse di una battaglia senza speranza. Il numero delle famiglie distrutte e degli orfani era impressionante. Anche l’economia ne risentiva pesantemente.

         È opportuno specificare una cosa: quando parlo di Africa, intendo riferirmi soprattutto al Kenya, dove ho vissuto per otto anni e mezzo. In precedenza, in qualità di segretario di Nunziatura, avevo avuto una più breve esperienza in Camerun, paese nel quale avevo conosciuto una realtà umana e culturale molto diversa. Dobbiamo infatti ricordare sempre che l’Africa non è una nazione ma un continente, molto diversificato nel suo clima e nelle popolazioni che lo abitano, ciascuna con tradizioni proprie e una propria storia. Per questo, delle affermazioni generiche riferite all’intero continente o ai suoi abitanti possono essere solo grossolanamente approssimative. Potremmo considerare nello stesso modo la Norvegia e l’Andalusia, o confondere un cittadino finlandese con un siciliano? Ebbene, in Africa le differenze sono ancora maggiori e più marcate.

         In Africa, quando ci si trova di fronte a un fenomeno che è difficile da capire, la risposta magica sembra essere spesso la più spontanea. In molte di quelle culture, la domanda non è: “Quale è la causa?” ma piuttosto: “Di chi è la colpa? Chi è responsabile?”. Come conseguenza, si ha notizia del linciaggio di streghe e di stregoni, colpevoli di spargere il contagio; si parla con convinzione di scienziati americani che hanno creato il virus dell’HIV-AIDS, al fine di sterminare gli africani; si racconta di preservativi appositamente preparati, per trasmettere l’infezione. A queste idee si accompagna il rifiuto di credere che l’AIDS abbia niente a che fare con azioni specifiche, come l’attività sessuale: semplicemente è una maledizione.

         A questa mentalità, bisogna poi aggiungere la presenza di alcune tradizioni locali, specialmente nella regione vicina al lago Vittoria, abitata dalla grande tribù dei Luo: per loro, ai parenti più stretti è proibito prendersi cura dei membri della famiglia che sono malati, perché si crede che siano vittime di una maledizione, che sarebbe quindi trasmessa anche agli altri; tra di essi c’è anche la prassi per cui i fratelli di un defunto devono ereditare le vedove, con la ovvia moltiplicazione del contagio all’interno della famiglia allargata.

            Di fronte a questo enorme problema, l’atteggiamento delle nazioni ricche è, in generale, quello di mostrare indifferenza verso le persone malate, e di porre l’accento sulla prevenzione, per lo più attraverso l’uso dei preservativi. In Kenya, in quegli anni, la pubblicità dei preservativi era dappertutto: in televisione, sulle pareti delle case di ogni villaggio, nelle scuole, e lungo le strade principali, con enormi cartelloni pubblicitari. Si trattava evidentemente di una impresa che richiedeva un impressionante sforzo economico.

         I preservativi erano distribuiti gratuitamente anche a ragazzini delle scuole primarie, i quali si chiedevano che cosa ci dovessero fare. Uno di loro, che conoscevo, è venuto a chiedermi istruzioni! L’unico risultato plausibile era che alcuni volessero sperimentare quello che fino ad allora non avevano fatto. Se questo tipo di “prevenzione” fosse stata la soluzione, l’AIDS non dovrebbe più essere presente in Kenya.

         La Chiesa Cattolica è coinvolta in tre aspetti del problema: la prevenzione attraverso l’educazione; la cura dei malati; la cura degli orfani.

1. Prevenzione attraverso l’educazione. Il messaggio del Vangelo giunge a noi con la scelta libera di uno stile di vita umano, non con una imposizione. Un comportamento cristiano coerente è, in qualche modo, l’adatta protezione contro l’infezione. Ma non sempre: il contatto con i malati può contagiare qualcuno, senza che ci sia una colpa morale, ma, al contrario, per un atteggiamento di eroica generosità. Ricordo un giovane novizio, allontanato dalla sua famiglia religiosa, perché malato: mi diceva di sapere come si era contagiato, non essendo sempre prudente nei suoi contatti con i malati che assisteva. E una suora di San Camillo, che, nel curare malati, si era punta con un ago infetto: fino ad allora, i test erano stati negativi, ma non era ancora del tutto fuori dal rischio di essere contagiata.

         La scelta di una vita di castità e di fedeltà può assicurare una sicura protezione. Certamente, non tutti sono capaci di fare questo, ma non possiamo offrire degli sconti, come accade con le regole di società e nazioni. Non possiamo prevedere un adulterio sicuro o una saggia fornicazione, né più né meno come la società non può prevedere dei furti senza rischio, o una pugnalata non infetta, o un assassinio limitato, o una corruzione sicura.

         L’idea che castità e fedeltà siano impossibili è una falsa posizione ideologica. Dopo aver ascoltato una lezione di educazione sessuale, basata esclusivamente sull’idea di “safe sex – sesso sicuro”, un ragazzo mi diceva: “Ci trattano come se fossimo cagnolini, guidati soltanto dal nostro istinto”.

2. Cura dei malati. Nelle molte strutture sanitarie, come ospedali, dispensari e centri medici, si cerca di aiutare i malati, offrendo a tutti la migliore attenzione, senza fare distinzioni per ragioni di razza o religione o colpevolezza morale. La maggiore difficoltà, ovviamente, nasce dalla scarsità di fondi, di fronte al prezzo proibitivo delle medicine o alle tasse pesanti imposte dalle autorità anche a medicinali ricevuti gratuitamente da benefattori.

3. Cura degli orfani. Questi sono spesso essi stessi sieropositivi. Molti hanno perduto genitori e parenti e sono quindi senza nessun sostegno. Le medicine retro-virali hanno portato un grosso cambiamento, perché con esse i piccoli infermi possono mantenersi in buona salute, anche se rimangono contagiati e non ancora del tutto guariti, e quindi vivere una vita pressoché normale.

         Due esempi di iniziative svolte in Kenya a favore del malati di AIDS:

Il progetto Oyugis: È una località vicina al Lago Vittoria, dove i Fratelli di Maria Madre della Misericordia, religiosi olandesi, hanno organizzato diversi programmi: dispensario, centro per orientamento, consiglio degli anziani, associazione delle donne (alla quale si può accedere solo presentando il certificato di malattia), associazione degli uomini, coro, gruppo giovanile.

         Alcuni punti di base che guidano lo stile di azione dei membri: apertura totale circa la malattia, missione di creare una adeguata coscienza negli altri, difesa giuridica dei loro diritti, opportunità per una vita dignitosa attraverso il lavoro.

         Gli anziani hanno la responsabilità di dirimere i casi di conflitto nella comunità; le donne si incontrano per condividere le esperienze e aiutarsi vicendevolmente, e per lavorare insieme nel produrre oggetti artigianali da vendere al mercato; i giovani avevano preparato canti e rappresentazioni teatrali per trasmettere conoscenza e coscienza sull’AIDS in luoghi affollati, come nei villaggi in giorni di mercato.

         Un caso interessante è stato presentato alla corte di giustizia di quella regione da una piccola donna, rimasta vedova e resa inferma dal marito defunto. I parenti di questi volevano riprendere per sé i beni del morto, lasciando quindi la vedova e i suoi figli senza nessuna proprietà. La donna, ormai anziana, continuava a lottare per far cambiare le norme che favorivano i parenti del marito e mi assicurava che non sarebbe morta, fino a quando non avesse conquistato i suoi diritti. I Religiosi mi dissero che la donna era stata più volte sul punto di morire, ma che continuava a vivere al di là di ogni previsione medica, tenuta in vita dal suo desiderio di giustizia.

Nyumbani: è una residenza per orfani sieropositivi, organizzata a Nairobi da P. Angelo d’Agostino, S.J., morto il 20 novembre 2006. Bambini e bambine vivono in case, con un padre o una madre, e ricevono educazione e attenzione medica. Fino a pochi anni fa, essi avevano la possibilità di vivere una vita serena e piena di esperienze interessanti, ma poi, per qualsiasi leggero disturbo fisico, morivano.

         Le medicine retro-virali hanno cambiato la prospettiva: ora i bambini possono sopravvivere, anche se non sempre, e quindi è necessario dare loro la possibilità di frequentare una scuola vera e propria, di avere una formazione professionale e una appropriata preparazione per la vita. Per questo è stato necessario lottare contro le discriminazioni: all’inizio, le scuole rifiutavano di ricevere come loro alunni i bambini e le bambine di Nyumbani, per timore del contagio. Dopo una visita al Ministro dell’Educazione, e da lui incoraggiati, si è fatta con successo una denuncia contro il governo, per ottenere che non ci fosse più questo tipo di discriminazione. Un’altra battaglia è stata fatta per ottenere le medicine retro-virali a prezzi ragionevoli: all’inizio, il costo delle cure per un mese equivalevano al valore dello stipendio mensile di un operaio.

         Sono tante le storie commoventi che potrebbero essere raccontate, a proposito dei bambini ospiti di Nyumbani, come il piccolo James, destinato a morire subito dopo la nascita, ma la cui vita è stata miracolosamente salvata almeno sei volte, e che ora dovrebbe essere un giovane uomo, cresciuto in seno a una famiglia olandese, dalla quale è stato adottato; o il minuscolo Juma, incapace di camminare e di comunicare, e ormai troppo malato per poter essere salvato, ma che, nei pochi mesi della sua vita nell’asilo, sempre attento a quello che accadeva attorno a lui, si appassionava ai motori e non finiva mai di ammirarli; o John, già adolescente, che per stanchezza e sfiducia aveva smesso di curarsi, ma che ha ripreso a farlo e ad amare la vita, perché ne ha capito il valore attraverso l’amicizia di chi gli voleva bene.

Per concludere, sottolineo due problemi specifici:  

A- Le medicine retro-virali:     Dopo forti polemiche nella stampa internazionale, i prezzi sono stati abbassati, ma è ancora impossibile averne per famiglie che vivono in un normale livello economico. Una sola persona inferma, nella prima e nella seconda fase della cura, dovrebbe spendere per sé più dell’intero salario famigliare, lasciando gli altri senza nessuna risorsa. Va inoltre ricordato che la medicazione richiede costanza e attenzione, e sarebbe quasi impossibile portarla avanti senza un accompagnamento responsabile da parte di persone competenti.

B- I preservativi:  Questi strumenti di contraccezione, che erano considerati ormai obsoleti, perché insicuri, hanno conosciuto un nuovo successo e sono stati riciclati come sicura misura di prudenza contro il contagio da HIV-AIDS. I dubbi del mondo scientifico sono molti e fondati, e non ci sono indicazioni sicure della loro utilità per ridurre l’infezione. Non sono state fatte serie ricerche in proposito. Dal punto di vista della morale cattolica, l’obiezione è più sullo stile di comportamento suggerito. Non possiamo proporre un “peccato sicuro”, anche se, in casi specifici, si può applicare il principio della scelta per il male minore. Una cosa, però, è una raccomandazione personale, altra cosa è la dottrina. Potrei raccomandare a un drogato di usare “aghi puliti”, o a chi frequenta prostitute l’uso di “protezione”; ma il nostro insegnamento è di non usare droghe e di non andare con prostitute.

         C’è una evidente superficialità nelle accuse di “responsabilità” da parte della Chiesa, nella tragedia dell’AIDS. Il nostro insegnamento circa castità e fedeltà non è ascoltato, ma dovremmo essere seguiti se parlassimo dei preservativi. Il contagio è rampante in regioni in cui il cristianesimo è appena presente, come l’India. E anche le altre istituzioni si comportano come noi: di fronte a casi di stupro in Norvegia, non credo che il governo raccomanderebbe di agire in quei casi usando il preservativo. Non lo farebbe e soprattutto non lo potrebbe fare, perché lo stupro è e resta un delitto grave, comunque sia compiuto. In ogni caso, la Chiesa non può svendere le sue convinzioni per compiacere una impresa commerciale in grande sviluppo.

            Alla base anche di questa tragica crisi c’è la povertà, che condiziona la situazione di miliardi di persone nel nostro mondo.

         E quindi: La lotta contro la povertà può aprire una via per trovare la soluzione anche a questa tragedia; per questo è indispensabile stabilire una seria e rispettosa cooperazione internazionale; e infine è indispensabile condividere le scoperte mediche, senza lasciarsi sedurre dalla prospettiva di fare enormi guadagni, sfruttando tante persone povere e senza speranza.

Aggiungo alcune considerazioni che non erano state esposte nella conversazione di Oslo, alcune per i limiti di tempo a disposizione e altre perché non ero allora in possesso di informazioni ricevute più tardi.

  1. Tra i fattori che hanno causato l’ingresso e poi una diffusione molto rapida dell’AIDS in Kenya, vanno ricordati i seguenti: il passaggio dell’esercito tanzaniano, diretto in Uganda, per deporre il dittatore Idi Amin Dada, nel 1979; il continuo transito di autotrasportatori da Mombasa fino al Rwanda; la inevitabile promiscuità nelle baraccopoli presenti attorno alle grandi città, nelle quali molte donne si danno alla prostituzione per sopravvivere; la precarie condizioni igieniche in cui si praticano le operazioni per la circoncisione dei giovani e delle giovani nelle società ancora legate alle tradizioni ancestrali.
  • La Chiesa cattolica ha dato un forte contributo all’educazione della popolazione, per creare una chiara coscienza della gravità del contagio e dell’importanza di assumere comportamenti corretti per evitarlo. I Gesuiti e le Suore Paoline hanno pubblicato studi scientifici e manuali di facile lettura.
  • Gli ospedali e i dispensari della Chiesa hanno svolto un ruolo importante per assistere i malati, senza discriminazione alcuna.

4        Qualche anno dopo la mia conferenza, la pubblicità dei preservativi è stata proibita in Kenya, perché le autorità si sono rese conto che attraverso di essa si otteneva soltanto un aumento nella diffusione del contagio.

5        Il programma di Nyumbani si è in seguito arricchito di due nuove iniziative: “Lea Toto”, per l’assistenza alle famiglie che hanno dei bambini sieropositivi; “Nyumbani Village”, in cui sono ospitati, in case-famiglia, nonni e nipoti, rimasti soli per la morte dei genitori. Solo una minoranza di questi sono sieropositivi, ma tutti risentono nella loro vita dei guasti provocati dalla pandemia.