La lotta contro i corvi

I corvi erano bestiacce molto grosse e terribilmente rumorose. Belle in volo, ma sgradevoli quando atterravano vicino alle finestre di casa. Ogni mattina, quando ancora dormivo, cominciavano a battere con il becco contro le grandi vetrate della Nunziatura. Mi hanno detto che si irritavano a vedere il loro riflesso, e, non riconoscendosi, lottavano contro un presunto rivale. Di fatto il chiasso era tremendo, e rimbombava per tutta casa. A quell’ora, il Nunzio era già in cappella, per cui a lui tutto questo non dava nessun fastidio. Per me era invece un dramma. Più volte uscii dalla camera in pigiama e, corso sulla terrazza, cercai di cacciare i corvi con un bastone. Lì per lì se ne andavano, ma solo per un po’, e tornavano tranquillamente appena me ne ero andato. Davano la netta sensazione che mi stavano prendendo in giro.

Pare che la ragione della loro costante presenza fosse nel deposito d’immondizia che avevamo a poca distanza da casa, nelle prime propaggini della foresta che, senza nessuna separazione, cominciava a poche decine di metri dall’edificio. Il Nunzio precedente, per risparmiare nella spesa, aveva avuto la brillante idea di far scaricare l’immondizia di casa nella foresta. Questa montagna di rifiuti, oltre a creare una sorgente di cattivo odore, era diventato un punto di riferimento per i corvi, che vi trovavano abbondanti riserve di cibo. Naturalmente l’uso di quella discarica era stato già interrotto, e, spese o non spese, si era tornati ad usufruire del servizio cittadino di nettezza urbana.

Al ritorno di un viaggio in una diocesi, il Nunzio mi disse di aver visto un corvo, morto e seccato, appesa all’ingresso di una missione. Serviva – così gli avevano spiegato – per tenere lontani gli altri corvi, che non si avvicinavano alla carcassa del loro collega. L’idea era brillante: tutto stava a procurarsi un paio di corvi morti. Provai con la fionda, avuta in prestito da Robert, ma senza successo: poca mira mia e grande sveltezza loro, capaci di schivare la pietra anche le pochissime volte in cui era stata lanciata con precisione. Ebbi anche in prestito un fuciletto ad aria compressa, ma senza risultati migliori.

Passai alle armi chimiche: polpette di pane, con dentro veleno per topi. Neppure toccate. Le alternai con polpette di pane senza niente, e quelle furono mangiate tutte, ma non le altre. “Forse dipende dall’odore”, e allora provai con pezzettini di vetro, anch’essi nascosti nelle polpette. Il pane senza niente scomparve, le polpette con il vetro restarono lì.

Essendo stato sconfitto su tutti i fronti, cercai un alleato: un tale P. Francesco, missionario pallottino tedesco, dalla mira straordinaria. Venne un pomeriggio in Nunziatura, all’ora in cui i corvi venivano sempre, e con due colpi precisi mi fornì due belle carcasse di corvo.

Avevo un’intera bottiglia di formalina e l’usai in abbondanza, siringando i due corpi all’inverosimile. A operazione completata, li portai sul tetto della casa, che era piatto, e li depositai a una certa distanza l’uno dall’altro. Secondo quanto si diceva, il deterrente avrebbe dovuto funzionare, e di fatto funzionò, anche se non ero preparato per quello che poi accadde.

Verso le cinque del pomeriggio, prendevo un thè sulla veranda del piano terra, insieme con Anne, Yvonne e Marie-Thérèse. All’improvviso il gracchiare di un solo corvo richiamò la nostra attenzione. Guardando verso l’alto, vedemmo una quantità enorme di corvi che, in un silenzio agghiacciante, volavano in ampi giri sopra il tetto della Nunziatura. Lo stormo, sempre volando attorno alla casa, si abbassò pian piano, fino ad arrivare al nostro livello. Già allora, per lo spavento, ci eravamo rifugiati dentro la sala ed avevamo chiuso la porta finestra che dava sulla veranda. Il volo continuò per alcuni lunghissimi secondi, poi ancora un grido isolato diede come un segnale di partenza, e tutti gli uccelli volarono via. Fino a quando rimasi a Yaoundé, nessun corvo venne più vicino alla Nunziatura.