Le vicende di Milingo

Monsignor Emmanuel Milingo aveva anche in Kenya alcuni seguaci ed aveva una comunità di religiose, le Suore del Buon Pastore, da lui illegalmente fondate e da lui gestite in maniera esclusiva. Veniva periodicamente, senza avvertire nessuno, faceva le sue celebrazioni di tono carismatico ed esorcistico, presiedeva alle professioni religiose delle suore e, da quanto mi dicevano, portava via tanti soldi dai suoi seguaci.

L’arcivescovo di Nairobi, Raphael Ndingi, conosceva Milingo dai tempi del seminario e lo stimava indegno anche del presbiterato. Diceva con convinzione: “Lo sbaglio non è stato ordinarlo vescovo, ma già ordinarlo sacerdote!” Venne un giorno in Nunziatura per chiedermi spiegazioni: “Con quali speciali facoltà Milingo fa questi suoi interventi?” La risposta la sapevo già: “Nessuna”. Ma, per stare sul sicuro, presentai il problema alla Segreteria di Stato e ne ottenni una risposta chiarissima. In essa si precisava che Milingo non doveva allontanarsi da Roma – o piuttosto da Zagarolo, dove viveva e lavorava – senza il permesso della Segreteria di Stato, ma lo faceva continuamente, senza chiedere nulla a nessuno. Andando in una diocesi, avrebbe dovuto avvertire sempre il vescovo ordinario e concordare con lui le attività da svolgere.

Comunicai tutto questo a Ndingi e agli altri vescovi del Kenya. Ndingi mi disse di aver comunicato a Milingo le istruzioni: “La prossima volta che vieni, ci vediamo e stabiliamo insieme il programma”.

Qualche tempo dopo, un amico mi chiamò dall’Italia: “Che cosa hai fatto di male a Milingo, che si è lamentato di te in un’intervista?” Mi mandò il testo dell’articolo, pubblicato in un settimanale. Dopo le solite affermazioni sulla presenza del diavolo nella Chiesa, “anche ai livelli più alti”, c’era una domanda, evidentemente suggerita: “Quale episodio l’ha più addolorato in questi ultimi tempi?” La risposta era che la cosa più dolorosa era stata che il Nunzio Apostolico in Kenya gli avesse impedito di tornare a Nairobi, dove un gruppo di fedeli lo aspettavano per un corso di rinnovamento spirituale: “Un’occasione di grazia si è così perduta”.

Come si vede, l’informazione era falsa, ma falsata ad effetto. Nessuno gli aveva proibito di fare qualcosa: gli si era solo chiesto di mantenere i contatti con il vescovo locale, il che era logico e lo sarebbe sembrato a tutti. Ma dare la colpa al Nunzio poteva sembrare più convincente, per suscitare un senso di ribellione, di fronte alle vessazioni operate contro il povero innocente perseguitato.

Di fatto, a quanto mi risulta, Milingo non si fece più vedere in Kenya, almeno per allora.

Alla fine del mese di maggio 2001, stavo completando una visita alla diocesi di Nakuru, nel settore di East Pokot. Tornando con il vescovo verso il centro della diocesi, dopo giorni trascorsi senza poter accedere a informazioni di radio e giornali, ricevemmo una notizia stupefacente da un giovane parroco, credo nella parrocchia di Eldama Ravine: “Sapete cosa ha fatto Milingo? Si è sposato con una coreana e sta con il reverendo Sun Myung Moon”. Questo ricco industriale coreano era il fondatore di una specie di nuova religione che avrebbe dovuto conglobare tutte le altre. La notizia aveva suscitato ilarità e anche sconcerto. Inutile dire che i giornali del Kenya diedero alla notizia un grande rilievo.

Tornando in Nunziatura, seppi che i due vescovi che avevano le comunità delle religiose di Milingo nella loro diocesi – Nairobi e Murang’a – si erano recati subito a trovare le suore, per incoraggiarle e assicurare loro che non le avrebbero abbandonate. Il gesto mi era sembrato molto nobile e, vista la sua spontaneità, mi aveva riempito di orgoglio: i due vescovi si erano mostrati veri padri.

La vicenda delle religiose si rivelò però più complicata del previsto. Fu allora che ci si rese conto che la loro situazione giuridica era completamente fuori norma: di fatto non erano per niente religiose e tutti i vari passaggi nella loro formazione erano invalidi e quindi nulli. Riprendere in mano la situazione era complesso, ma ci si mise insieme con buona volontà e con l’aiuto di una religiosa dello Zaire, già superiora generale della sua congregazione e molto esperta in formazione.

Per i due vescovi che ospitavano le religiose sarebbe stato difficile accogliere le suore nella loro diocesi. Fino ad ora, Milingo le aveva mantenute in tutto e non aveva permesso che nessuno interferisse nella loro vita. Ora esse sarebbero state un peso troppo grande per loro.

Fortunatamente, il vescovo di Kitui, Boniface Lele, si disse disposto ad accogliere le Suore del Buon Pastore nella sua diocesi. Espose il suo progetto alle stesse e ne ebbe un’accoglienza molto favorevole: quello che il vescovo proponeva era proprio il lavoro che esse desideravano fare, e quindi erano pronte a recarsi a Kitui, diocesi povera e bisognosa di personale religioso. Boniface aveva anche identificato una residenza adatta per la comunità: una casa costruita da un commerciante Kikuyu e da questi abbandonata quando non era ancora finita. Completandola e facendo qualche adattamento, sembrava perfetta per accogliere le suore.

Andando a Roma, mi recai a vedere Monsignor Tarcisio Bertone, allora Segretario della Congregazione per la Dottrina delle Fede, che era incaricato di seguire il caso Milingo. Poteva disporre di denaro, messo a disposizione da benefattori che, dopo aver sostenuto le opere di Milingo, volevano ora aiutare quelli che ne erano stati le vittime. L’operazione sembrava possibile e Bertone era del tutto favorevole all’impresa. In un solo punto non fummo d’accordo: io gli dissi che, a mio parere, Milingo era pazzo, con una grande smania di promozione personale, e che la sua conversione, che nel frattempo era stata ottenuta attraverso un incontro personale con il Papa, non mi convinceva affatto. Lui, invece, sosteneva che il cammino ora svolto da Milingo era genuino e che egli aveva affrontato grosse difficoltà per giungere alla scelta di rientrare nella comunione con la Chiesa.

Ma la storia delle relazioni di Milingo con il Kenya non era ancora finita. Un giorno, quando tornavo da un viaggio, il mio segretario mi disse che c’era una notizia importante che mi doveva dare, e per questo mi chiese di mettermi a sedere. Poi sparò: “Stasera, alle otto, Milingo arriverà all’aeroporto di Nairobi”. Quando trasmisi l’informazione all’arcivescovo di Nairobi, questi mi disse subito: “Vada all’aeroporto e lo mandi via. Lo metta subito sul primo aereo disponibile!” Invece dovetti persino alloggiare Milingo in Nunziatura, per evitare che i giornalisti lo riconoscessero e si mettessero alla sua ricerca. 

Quando, secondo gli orari previsti, arrivò a casa, era accompagnato da un sacerdote, credo focolarino, e da una suora. Erano coloro che lo avevano assistito nel suo itinerario di conversione. Chiesi come mai non avessero dato nessun avviso del loro arrivo, ma spiegarono di aver mandato una e-mail, che però non era mai arrivata. Nel corso della conversazione, Milingo restò in silenzio, con un tono di grande sussiego, che non mi aiutò a migliorare la mia opinione su di lui. Lui solo dormì in Nunziatura e i suoi accompagnatori vennero la mattina seguente, molto presto, a prenderlo per andare a Kitui. Non mi alzai per salutarlo.

Quello che seguì mi fu raccontato da Monsignor Lele. Milingo volle incontrare le suore e il vescovo di Kitui gli lesse i punti di base che egli aveva redatto e di cui anche io ero a conoscenza. In essi, si riconosceva che fondatore delle Suore del Buon Pastore era Milingo, ma in seguito si diceva che le suore non avrebbero più avuto nessun contatto con il fondatore. Al che Milingo espresse la propria opposizione, e chiese alle suore se esse erano d’accordo con quella richiesta. Alla loro risposta positiva, Milingo ripeté la sua contrarietà. Monsignor Lele intervenne per far notare che non era il caso ora che due vescovi litigassero, e propose che se ne parlasse insieme con il Nunzio. Il che chiuse il discorso.

Milingo se ne andò e non fu più visto da quelle parti. Il resto della sua squallida vicenda è ben noto e non vale la pena neppure evocarlo. A me basta ricordare che, per una volta, i fatti mi hanno dato ragione.