Malaria e Nivachina

In Camerun, la malaria era, e certamente è ancora, un serio pericolo, ed è molto facile prenderla. Le zanzare sono tante e, specialmente all’alba e al tramonto, tendono ad essere molto aggressive. Difendersi con creme o liquidi repellenti è impossibile, specialmente se si rimane spesso all’aperto o se si deve vivere in abitazioni prive di aria condizionata, con la necessità quindi di tenere aperte porte e finestre per poter ricevere un po’ di aria.

Come protezione, avevamo allora la Nivachina, a base di chinino, che si presentava in piccole pastiglie da assumere quotidianamente. C’erano altre confezioni con dosi maggiori, che potevano essere prese un paio di volte alla settimana, ma il rischio era poi di dimenticare i ritmi e trovarsi quindi scoperti. Di fatto, la protezione era calcolata ad un 50%, e si restava quindi con il rischio di essere infettati. Ogni mattina, in Nunziatura, la giornata cominciava con la colazione – il Nunzio aveva già celebrato Messa, mentre io mi svegliavo poco prima di mangiare – e con l’attenzione di prendere la quotidiana pillolina.

Le conseguenze dell’uso del chinino, sia pure in forma ormai elaborata, erano varie, ma soprattutto si notavano l’ispessimento dei timpani e il rallentamento della memoria. Più volte ho sentito qualche missionario giustificarsi per degli errori fatti: “Cosa vuoi: ho venticinque anni di Nivachina addosso!”

Purtroppo, come ho detto, la quotidiana dose di medicina non era sufficiente per eliminare il rischio di prendere la malaria, che, prima o poi, abbiamo avuto tutti. Quando c’erano delle crisi di febbre, che duravano pochi giorni, non si faceva altro che prendere qualche pastiglia di Nivachina in più, e si sperava che passassero.

L’altro rischio per la salute, anch’esso molto frequente, era quello di avere parassiti nell’intestino, che si eliminavano, almeno parzialmente, con periodiche cure a base di grosse cialde gessose da masticare. Il sapore era disgustoso e non sempre la cura sortiva l’effetto desiderato. Ma era quello che c’era a disposizione e non si poteva fare a meno di ricorrervi ogni tanto.

Da parte mia, sono riuscito a prendere qualcosa di molto più interessante e, certamente, più raro, con un nome difficile: oncocercosi, ma che si spiega con una definizione più chiara, che mette paura: cecità dei fiumi. Ma di questo parlerò nella sezione londinese.