Omelia nel Santuario della Madonna delle Lacrime

Siracusa, 31 agosto 2012

Cari fratelli e sorelle, cari amici,

sapere già che io svolgo la mia missione di vescovo nel grande santuario mariano di Loreto. È un santuario conosciuto in tutto il mondo, costruito attorno alle tre pareti della Santa Casa di Maria, trasportata sulle colline di Recanati ormai più di settecento anni fa. Un santuario quindi antichissimo, anche perché si collega con Nazareth, dove la casa intera si trovava fino al 1291 o ’92. I fedeli hanno venerato quel luogo fin dall’inizio del cristianesimo, ed hanno lasciato sulle pietre della casa il segno della loro devozione.

Vi dico questo perché vorrei che voi capiste quanto sia privilegiata la mia vita, che si svolge in un continuo, quotidiano contatto con questa realtà così bella e così santa: il luogo stesso in cui l’angelo Gabriele ha dato a Maria l’annuncio del progetto che Dio aveva per salvare tutta l’umanità; il luogo che ha ascoltato il “sì” detto da Maria alla chiamata di Dio; il luogo in cui il Verbo si è fatto carne ed ha cominciato il suo cammino in questo mondo, cammino che lo avrebbe portato attraverso i sentieri della Palestina fino a Gerusalemme, fino al Cenacolo e poi al Calvario e infine alla tomba, una tomba destinata a restare vuota.

Ho riflettuto molto sull’invito che mi era stato fatto, e che io avevo accettato molto volentieri, anche perché sarebbe stata la prima volta che venivo in questa città e in questo santuario. E a mano a mano che il momento di venire a voi si avvicinava, mi sono fatto con sempre maggiore preoccupazione la domanda che mi ero posto fin dal principio: “Perché le lacrime di Maria?” Questo gesto ha qualcosa di evidente: tutti sappiamo cosa sono le lacrime, tutti abbiamo pianto, e sappiamo quindi che effetto faccia il pianto. Ma se io so perché mi capita di piangere, e non mi vergogno di farlo, non ho una spiegazione chiara per le lacrime di Maria. O forse non avevo. Oggi provo a rispondere al mio dubbio, e condivido con voi la mia riflessione, per quello che possa valere. Potrei riassumere il mio pensiero con questa affermazione: noi non siamo qui perché la Madonna ha pianto, ma la Madonna ha pianto perché noi siamo qui. E vediamo se riesco a far capire quello che dico.

Quando Gesù si è fatto uomo, nel seno di Maria, ha preso su di sé tutti i limiti della natura umana, meno il peccato. Il segno più evidente della sua umanità è stata la “vulnerabilità”. Sembra una parola difficile, ma invece è semplice, perché vuol dire che Gesù poteva essere colpito, ferito, poteva soffrire e patire, spiritualmente e fisicamente. Per questo, dalla Scrittura, sappiamo che Gesù ha pianto tre volte, mostrando così la sua emozione di fronte a situazioni diverse. Gesù piange su Gerusalemme, pensando a questa città, prescelta da Dio e bellissima, eppure incapace di accogliere colui che Dio aveva inviato per salvare il suo popolo. Gesù piange alla tomba di Lazzaro: la morte è sempre un’esperienza traumatica, anche quando si sa – e Gesù lo sapeva bene – che il dolore sarebbe stato superato dalla gioia della vita restituita all’amico. Ma il momento di sconforto e di lacrime, per Gesù, è arrivato al momento dell’agonia nell’Orto degli Ulivi, quando il Signore invocò suo Padre “con forti grida e lacrime” (Eb 5,7).

Dalla descrizione che di questo episodio fanno i tre Vangeli sinottici, possiamo notare che Gesù sembra essere inquieto, triste e angosciato e quindi incapace di affrontare a pieno la sofferenza. Marco dice persino che cominciò a sentire paura. In queste condizioni, egli cerca la compagnia dei suoi amici, per avere il conforto della loro vicinanza, ma essi invece dormono. Gesù chiede con insistenza al Padre che il calice del dolore sia allontanato da lui: “Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36). A questo punto, secondo la narrazione di Luca, accade qualcosa di misterioso: “Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo”. Subito dopo, possiamo notare gli effetti della consolazione portata dall’angelo: “In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra” (Lc 22,43-44).

Il fenomeno raro del sudore di sangue ci fa capire quanto intenso fosse il tormento di Gesù: egli soffre ora più di prima, ed è spontaneo chiedersi quale tipo di consolazione abbia portato l’angelo al Signore, per ottenere come risultato non un sollievo, ma una sofferenza ancora più atroce. Possiamo pensare che, durante la preghiera, il Signore abbia avuto davanti agli occhi tutto il male del mondo, il peccato di ogni tempo, dal quale egli voleva liberarci, offrendosi come vittima per noi. Ma a questa visione seguiva la constatazione che per molti, per troppi uomini e donne che vivevano e sarebbero vissuti nel mondo, la sua passione sarebbe stata senza effetto, perché essi non l’avrebbero conosciuta, oppure, avendola conosciuta, non ne avrebbero colto il valore, e invece l’avrebbero dimenticata o addirittura disprezzata. Di qui, il senso di angoscia, di paura e di frustrazione, e quindi la mancanza di motivazione per un passo che egli sapeva umiliante e dolorosissimo. In quel momento, Gesù sembrava non poter continuare nel suo cammino di dolore, perché vedeva la sua passione come tremenda ma, nello stesso tempo, come inutile.

L’angelo consolatore non avrebbe potuto svolgere il suo ruolo cercando di nascondere la realtà. Non poteva dire a Gesù: “Fatti coraggio, in fondo si tratta solo di alcune ore, poi sarà tutto finito …” L’angelo ha avuto il compito di mostrare a Gesù la schiera dei suoi discepoli di ogni tempo, di coloro cioè che avrebbero colto il significato del suo sacrificio e ne avrebbero ricevuto il frutto. Incoraggiato da questa constatazione, Gesù ha accettato pienamente la passione, ha lasciato che arrivasse a lui il peso del peccato di tutti i tempi, dall’uccisione di Abele fino alle spietate negazioni della vita di oggi. Per questo, la pena è diventata più acuta, tale da provocare il fenomeno della rottura dei capillari, con il conseguente sudore di sangue.

 Maria, in piedi accanto al Figlio che muore sulla croce, ci è descritta in un silenzio solenne, vicina a Gesù per accompagnarlo nelle ore della umiliazione più grande e nella sofferenza atroce di una agonia lenta e dolorosissima. L’evangelista Giovanni, che ha parlato del pianto di Gesù alla tomba di Lazzaro, non dice niente sulle possibili lacrime di Maria. Ma sappiamo che, in quel momento più che mai, Maria era unita al sacrificio di suo Figlio. Maria non era stata con Gesù nei momenti del trionfo: al miracolo dei pani e dei pesci, quando la folla voleva fare di Gesù il loro re; o all’ingresso a Gerusalemme, quando ancora una volta la folla proclamava Gesù figlio di Davide e inviato dal Signore. Ma ora sì, sotto il patibolo di suo Figlio, per apparire la madre disgraziata di un delinquente, a condividere con lui gli insulti e i giudizi malevoli. “Vedi cosa succede? Certamente non è stata una buona madre, certamente non è stata capace di educare suo figlio”.

Ma guardiamo ora le lacrime di Maria, quelle versate qui, quelle che hanno suscitato l’ammirazione di tanti ed hanno giustificato la nascita di questo santuario. Che ci siano tante, tantissime ragioni per piangere, non c’è dubbio: uno sguardo al mondo intero, con tutte le sue angosce, le sue ingiustizie, le sofferenze di tanti per l’oppressione, la persecuzione a cui sono sottoposti, per la fame dei milioni mantenuti in una povertà spaventosa. Situazioni che gridano vendetta al cospetto di Dio e che sono frutto della cattiveria e dell’egoismo di persone, popoli e nazioni. Quante ragioni per cui una Madre possa e debba piangere! E poi la realtà spaventosa del peccato individuale: i miei peccati, i nostri peccati; i peccati che vengono commessi e che sono giustificati come cosa giusta; le tante violenze contro la vita contrabbandate come progresso della scienza; le tante negazioni della verità, al punto che ormai nessuno riesce a sapere che cosa sia vero e sia veramente accaduto o cosa sia stato inventato dalla fantasia morbosa degli informatori.

Le lacrime di Maria potrebbero essere versate in continuazione. Ma quell’episodio, che noi ricordiamo con commozione, è accaduto perché la nostra Santa Madre ha voluto richiamare la nostra attenzione una volta per tutte, sapendo che poteva contare su tante persone buone che avrebbero accolto il suo messaggio silenzioso e lo avrebbero fatto proprio. Maria ci chiede di essere come Lei intercessori presso Dio per guarire le tante malattie del mondo. Maria conta su di noi, perché la nostra capacità di metterci a suo fianco le ha dato la ragione per manifestare apertamente il suo dolore. Ecco perché dico: Maria ha pianto perché noi siamo qui.

Questo non vuol dire che noi siamo santi, e neppure che siamo migliore degli altri. Noi siamo peccatori e sappiamo di esserlo, e proprio per questo cerchiamo la conversione nostra e dei nostri fratelli e sorelle che camminano nel peccato. Maria ci ha dato il segnale della sua partecipazione a questa santa lotta: in greco, lotta si dice “agonia”. L’agonia di Cristo, l’agonia di Maria, ci invitano ad essere insieme con loro impegnati in una lotta che non è contro qualcuno, ma contro la realtà del nostro peccato.

Le tue lacrime, Maria, mi dicono che vale la pena lottare, perché, insieme con tuo Figlio, la battaglia può e deve essere vinta.