Omelia per le esequie di Massimo Giammarini

Cattedrale, 17 marzo 2018

Giobbe 19, 1.23-27
Salmo
Romani 8,31-35.37-39
Giovanni 17,24-26

Per questa liturgia esequiale, ho voluto che la prima lettura fosse tratta dal libro di Giobbe. È stata una scelta suggerita indirettamente da Massimo che, alcuni anni fa, commentando le sue vicende personali e famigliari, mi diceva: “È la storia di Giobbe”.

Il libro di Giobbe, nella Bibbia, non è tra i più facili da leggere. Ricordiamo facilmente il racconto: un uomo che vive in una condizione privilegiata e poi il rovescio delle sue fortune, per cui si è trovato ad avere perso tutto, beni, famiglia, salute. Non si ribella a Dio, ma chiede ragione a Dio per capire il perché di questa sorte così dolorosa. La discussione con i suoi amici teologi è lunga, e le spiegazioni che riceve sono confuse e perfettamente inutili: adesso come allora, voler spiegare il mistero del dolore è uno sforzo vuoto, che riesce soltanto a creare frustrazioni e false illusioni.

Quando infine Dio parla, non lo fa per dare risposte ma per fare a sua volta domande: “Dove eri tu quando io creavo tutte le cose? Come puoi giudicare, tu che non sai nulla dell’universo, del mondo, della natura umana?” E Giobbe accetta di non poter esprimere giudizi, ma si inchina di fronte alla manifestazione della sapienza divina che noi, semplicemente, non possiamo capire: “Comprendo che tu puoi tutto. Io ti conoscevo solo per sentito dire ma ora i miei occhi ti hanno veduto” (Gb 42,1.5).

La storia di Giobbe è la storia di tutti noi. Ed è stata in maniera particolarmente intensa la storia di Massimo, amico carissimo fin dalla prima infanzia, del quale abbiamo seguito la vita, fino alla fine, fino ad ora, quando accompagniamo il suo corpo alla dimora finale.

Nell’omelia della Messa esequiale non si dovrebbe parlare del defunto, ma illustrare piuttosto il significato della vita e della morte, viste nel riflesso della morte e risurrezione di Cristo. In questo caso, non posso fare a meno di ricordare alcuni aspetti della vita di Massimo, perché sono essi stessi una manifestazione della misericordia di Dio nel nostro cammino umano.

In tanti, tra quelli che sono qui presenti, lo ricordiamo ragazzo e giovane, nella Messa della domenica al Duomo, nei quotidiani appuntamenti di Azione Cattolica al Circolo San Paterniano, per le adunanze, come le chiamavamo allora, per il gioco e per le attività di gruppo. Lo ricordiamo, e quanto volentieri, nella preparazione e nell’esecuzione delle nostre riviste musicali al Gonfalone, nelle quali Massimo eccelleva non solo come attore ma anche come ballerino. Quanto impegno riversato nelle prove e nella ricerca di nuove idee e di nuove battute, quanti episodi divertenti, quante risate fatte e fatte fare. Ancora adesso potevamo parlarne, con ricordi sempre freschi e piacevoli.

In tanti, tra quelli che sono qui presenti, ne abbiamo apprezzato la fedeltà al lavoro, cominciato prestissimo nella sua vita e continuato, con fedeltà e competenza, fino a quando gli è stato fisicamente possibile. Non sorprende che la sua laboriosità sia stata riconosciuta anche ad altissimo livello, con il titolo di Maestro del Lavoro, conferitogli dal Presidente della Repubblica. Mi fa piacere ricordare anche l’opera prestata all’Associazione Apito, per controllarne l’amministrazione. Questa organizzazione, fondata nel ricordo di Don Paolo Tonucci per operare nel campo dell’educazione in Italia e in Brasile, gli era particolarmente cara.

In tanti, tra quelli che sono qui presenti, lo abbiamo seguito nella creazione di una famiglia, con quella grande donna che è stata Luciana, e il dono di tre figli belli e cari. E sappiamo come, nel corso degli anni, Sorella Morte si sia affacciata in quella casa, per cogliere vite, con una insistenza davvero sconvolgente. La prova è stata dura, per Massimo e per i suoi famigliari, e nel tempo ha messo alla prova la sua salute, logorandola lentamente fino a minarla in maniera definitiva. Ma la sua fede non è stata scossa, anzi, in questo lungo processo di dolore, si è rafforzata e raffinata, portandolo ad un atteggiamento di accettazione che è diventato una lezione per tutti noi, che ci ha meravigliato, al punto che spesso ci siamo chiesti: “Ma come fa?”

La sua risposta non poteva essere altro che quella di Giobbe: “Io so che il mio Redentore è vivo. Io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno”. Poteva ripetere le parole di San Paolo: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? … (Nulla) potrà mai separaci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore”.

Negli ultimi lunghi mesi, Massimo ha conosciuto una crescente sofferenza fisica, anche questa sopportata senza lamenti né recriminazioni. Questa accettazione del dolore lo ha reso ancora più vicino a Cristo in croce, martoriato in tutto il suo corpo eppure ancora attento a vivere in maniera positiva quello che gli restava di vita.  Perfettamente lucido fino alla fine, in uno dei nostri ultimi incontri mi ha recitato per intero una poesia, mentre io mi ero fermato subito dopo i primi versi.

Il Signore lo ha chiamato a sé nel sonno, dandogli almeno in questa occasione, la possibilità di vivere serenamente il trapasso da questa vita alla vita eterna.

E a noi resta la sua eredità. Tutti abbiamo qualcosa da imparare dalla sua testimonianza e da applicare al nostro modo di vivere e di leggere i fatti della vita.

Più di tutti, l’eredità di Massimo è accolta dai suoi famigliari: figlio, nuora e genero, nipoti, sorelle. Non è per voi una piccola responsabilità, perché il dono della sua vita e della sua fede deve riflettersi nel vostro modo di vivere, continuando il cammino in questo mondo. Noi speriamo e preghiamo perché la vostra vita, e la nostra, sia più facile della sua, ma speriamo e preghiamo che sia animata da una fede forte come la sua.

Contiamo sulla preghiera di Gesù: “Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo… E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro”.

Raccomandiamo a Dio l’anima bella di Massimo, padre, nonno, fratello e amico. Ringraziamo il Signore della vita per il dono inestimabile della sua esistenza e del suo esempio.