Partenza da Belgrado

Annunciata da una telefonata di un amico, che lavorava in Segreteria di Stato, verso metà marzo 1987, mi giunse la notizia del mio trasferimento a Washington. La cosa mi fece piacere sia perché la permanenza a Belgrado diventava sempre più pesante, sia perché andare negli Stati Uniti, in una sede di grande impegno e importanza, mi sembrava, finalmente, un segno di fiducia nei miei confronti. E guardavo in avanti con interesse alla collaborazione con un Capo Missione come Monsignor Laghi, che conoscevo e stimavo da molto tempo.

            Per la partenza, avevo organizzato qualcosa di speciale: sarei andato in treno fino a Zadar e qui avrei trovato l’amico Mario Bartoletti, con la sua barca “Acamar”, per attraversare l’Adriatico e sbarcare direttamente a Fano.

            La data per la partenza da Belgrado fu stabilita per il mercoledì 3 giugno.

Al mattino, durante la celebrazione della Messa, notai una particolare commozione nelle suore della comunità, con le quali, come Incaricato d’Affari, avevo vissuto la delicata fase del loro ambientamento al nuovo lavoro. La lettura dagli Atti degli Apostoli riferiva come San Paolo, dopo aver salutato gli anziani della chiesa di Efeso e aver detto loro che non avrebbero più visto il suo volto, era stato accompagnato alla nave, con la quale doveva partire.
La coincidenza con la circostanza di quel giorno era sembrata fin troppo evidente, e fu sottolineata con lacrime abbondanti.

            Al momento di salutare le suore per recarmi con il Nunzio alla stazione, dovetti chiudere a chiave la porta della cucina, dove si erano radunate, in modo che non continuassero a piangere davanti a me. Credo di non aver mai avuto un addio così commosso.

            Il viaggio si svolse senza problemi, a parte le sorprese nel servizio delle cabine letto, nelle quali dovevano manifestarsi le speciali caratteristiche dell’organizzazione socialista: coperte mancanti, luci spente, personale assente. L’arrivo a Zadar fu, come sempre, gradevole, per la ospitalità signorile del Vescovo Oblak, con il quale trascorsi la mattinata del 4.

Mario arrivò per tempo e la partenza dal porto fu eseguita senza ostacoli, all’imbrunire. Veleggiammo verso Nord, seguendo la costa dalmata, per arrivare a prendere il vento per la traversata. Passammo la notte vicino all’isolotto di Veli Rat, nella cui chiesetta, la mattina seguente, celebrai Messa. La sera prima avevo preso accordi con il sagrestano, e mi ero meravigliato per quante cose fossi riuscito a dirgli, usando il pochissimo croato che potevo maneggiare.

La traversata non fu piacevole: non c’era vento e si dovette procedere a motore durante tutta la notte. Dopo cena cominciai a soffrire di mal di mare e mi rimisi solo dopo aver alimentato i pesci dell’Adriatico con tutto quello che avevo mangiato. Se avessi saputo prima del sollievo immediatamente ottenuto, avrei tribolato di meno per dominarmi, invece di lasciarmi andare subito.

L’arrivo a Fano, ormai in pieno giorno, fu bello, con l’aprirsi di un panorama familiare e la strana sensazione di essere uscito da una società chiusa e poliziesca, per una regione libera e ben nota.

Durante la traversata, scattai un intero rullino di diapositive, che ricordo vagamente come molto suggestive, con il tramonto e l’alba sul mare. Nel trasferimento verso gli Stati Uniti, però, la valigetta che conteneva proiettore e la scatoletta delle diapositive scomparve in qualche angolo dell’aeroporto Kennedy di New York.

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