Ricordi di Roncalli

In diverse occasioni, il Delegato Apostolico, Monsignor Heim, mi raccontò alcuni suoi ricordi del primo Nunzio con il quale aveva lavorato a Parigi, e che aveva sempre stimato molto: Angelo Giuseppe Roncalli.

Quando gli suggerivo di scrivere questi episodi, la sua risposta era sempre la stessa: se avesse pubblicato queste cose, l’ex segretario del Papa, Monsignor Capovilla, avrebbe detto che non erano vere. A tutt’oggi, non so se Mons. Heim abbia scritto i suoi ricordi e se li abbia affidati a qualcuno. Queste annotazioni riportano quello che lui stesso mi ha, a più riprese, raccontato. Non posso quindi dare nessuna garanzia sulla loro autenticità: sono semplicemente dei ricordi di seconda mano.

Mons. Heim aveva conservato lettere e biglietti che Mons. Roncalli gli aveva scritto, in varie occasioni, anche quando era già Patriarca di Venezia. Gli chiesi se avesse conservato ugualmente ogni scritto degli altri Nunzi con cui aveva collaborato, ma mi disse che lo aveva fatto solo per lui, dato che aveva sempre pensato che sarebbe diventato qualcuno importante. Non per nulla, fin dall’inizio del conclave del 1958, aveva preparato lo stemma papale per Roncalli.

Un giorno, durante un pranzo o una cena in Nunziatura a Parigi, il Nunzio contemplava l’arazzo appeso alla parete, che rappresenta una scena di caccia, con dei cani che assalgono un toro. Esclamò: “Povera vacca!”. I suoi segretari gli fecero notare che non si trattava di una vacca ma di un toro. Al che Roncalli replicò: “Come fa a dirlo?”

Un congresso a cui partecipava il Nunzio si svolgeva in una cittadina di mare. Mons. Heim, che era con il Nunzio, chiese di poter andare a fare un bagno, e il Nunzio, una volta che i lavori erano iniziati, gli fece cenno di andare. Quando il suo collaboratore tornò, gli chiese come era andata e poi aggiunse: “Piacerebbe anche a me, se non si dovesse togliere la veste”.

            Di ritorno da un viaggio, venne in mente al Nunzio che, in un villaggio non lontano da Parigi, era sepolto un santo poco noto, di cui egli sapeva qualcosa. Si fermarono quindi davanti alla chiesa parrocchiale ed entrarono, cominciando a visitare una dopo l’altra le cappelle laterali. “Qui c’è la Madonna! Ave Maria piena di grazia …”. Nella seguente: “Guardi: Santa Teresina!”, e disse una preghiera alla santa. Nella terza cappella c’era un grande crocifisso: “Oh! Qui c’è Nostro Signore!” e filò via senza altri commenti.

            Trovo particolarmente bello un episodio accaduto quando il Nunzio era in vacanza a casa sua e Mons. Heim, anche lui in vacanza, si era recato dalla Svizzera a Sotto il Monte per visitarlo. Giunse la notizia che, a Ravenna, un pullman di seminaristi francesi aveva avuto un incidente e c’era stato qualche morto. Subito Roncalli decise di recarsi sul posto, per essere presente alla Messa di requiem, celebrata dall’Arcivescovo di Ravenna, Mons. Giacomo Lercaro. Al temine della celebrazione, l’Arcivescovo ringraziò il Nunzio per la sua presenza e poi si scusò: “Devo tornare a casa: le suore mi aspettano per pranzo”. Heim osservò: “Che maleducato: non ci ha neppure invitati a pranzo! Adesso andiamo a mangiare in un ristorante”. Roncalli rispose: “Sì, faremo così, ma non in città, perché altrimenti la gente si accorgerà che non ci ha invitati”. E Heim commentava: “Ci siamo messi in strada, fino alle quattro, non abbiamo trovato niente di aperto e alla fine abbiamo mangiato lasagne fredde!”

            Una storia complessa è quella dei difficili rapporti del Cardinale Tisserant con Roncalli. Come Nunzio in Francia, ogni volta che il potentissimo e prepotentissimo Cardinale era a Parigi, Roncalli offriva una cena in onore dell’ospite. Nella circostanza specifica, quando, dopo il pasto, gli invitati si intrattenevano nel salotto, Tisserant cominciò a dire cose estremamente spiacevoli contro Pio XII. Roncalli si guardò attorno, fissò per un attimo il segretario e quindi pose una mano sul ginocchio del Cardinale, che sedeva al suo fianco: “Mi scusi Eminenza, ma in questa casa del Papa non le posso permetterle di parlare così del Santo Padre”. Tisserant divenne rosso, poi bianco: dopo pochi minuti si alzò e se ne andò, per non mettere più piede in Nunziatura, e da allora parlò sempre negativamente del Nunzio e poi del Patriarca.

            Quando Roncalli era già Cardinale e Patriarca di Venezia, morì a Roma il suo predecessore, il Cardinale Piazza. Come gesto di riconciliazione, dato che, a quanto mi si disse, Piazza non aveva lasciato a Venezia un buon ricordo, Roncalli chiese a Pio XII il permesso di celebrare lui la Messa di requiem. La prassi di allora voleva che il funerale di un cardinale, che si teneva in San Pietro nella crociera dei Santi Processo e Martiniano, fosse celebrato da un arcivescovo, alla presenza dei cardinali. Il Papa accondiscese alla richiesta del Patriarca, che quindi celebrò la solenne Eucaristia. Al termine della cerimonia, in sacrestia Tisserant lo assalì, gridando che la Messa per un cardinale doveva essere celebrata da un arcivescovo e non da un altro cardinale, e che comunque che razza di cardinale era lui, che non sapeva neppure vestirsi! In effetti, Roncalli aveva dimenticato che, in occasione dei funerali, i cardinali dovevano vestire non la porpora ma un abito violaceo. Raccontando l’episodio a Heim, Roncalli commentava: “Poverino, aveva ragione, ma poteva anche non dirmelo così”.

            A questa vicenda si unisce una battuta che ho saputo da altri, e senza nessun riferimento a questo incidente: quando, subito dopo la elezione, Giovanni XXIII ricevette la così detta adorazione dei Cardinali, il primo a presentarsi fu proprio Tisserant, in qualità di Decano del Collegio Cardinalizio. Il Papa gli avrebbe sussurrato: “Come vede, Eminenza, anche questa volta siamo vestiti diversamente”. La connessione tra le due storie mi sembra del tutto plausibile e, sempre secondo chi ha conosciuto Papa Roncalli, molto corrispondente al suo spirito, arguto ma animato da un grande senso di giustizia e di carità.

            Giustizia e carità le esercitò nei confronti dei suoi collaboratori. Durante la seconda guerra mondiale, Heim era studente in Accademia. Mentre era in vacanza in Svizzera, gli fu chiesto di non tornare a Roma, anche per le difficoltà dei viaggi, resi pericolosi per lo svolgimento del conflitto, e di mettersi a disposizione del Nunzio Apostolico a Berna per aiutare nell’assistenza spirituale dei rifugiati italiani. Cosa che egli fece per due anni, con l’assicurazione che il tempo così trascorso gli sarebbe poi stato computato come servizio della Santa Sede. Al termine della guerra, completò i corsi accademici e partì per la missione diplomatica, ma i due anni spesi in Svizzera non gli vennero mai computati. Ai suoi ricorsi, approvati anche dal Nunzio Roncalli, si rispose che non si poteva fare una eccezione di questo tipo, per non creare precedenti. Appena eletto Papa, Giovanni XXIII, incontrando il suo antico collaboratore, gli disse: “E ora potremo anche sistemare quella famosa questione!” E così fece.

            Carità la dimostrò invece con un altro collaboratore che, a Parigi, lo aveva fatto soffrire, trattandolo da incompetente e richiedendogli di non dare mai disposizioni a voce ma solo per iscritto. Si dice che, nella Nunziatura in cui si trovava, alla notizia della elezione di Roncalli al Pontificato, costui rimase chiuso in camera per tre giorni, ma infine uscì, dichiarando: “Non mi farà del male, perché non è vendicativo”. Di fatto, proprio lui ricevette uno dei posti più prestigiosi nel servizio della Santa Sede.

            Nel commentare certe decisioni dei superiori di Roma, Mons. Roncalli disse qualcosa di molto bello e, per Mons. Heim e anche per me, mostro istruttivo: “I nostri superiori forse non capiscono che l’autorità che hanno non serve solo per dire di no, ma anche per dire di sì”.

            Un episodio per finire. In una riunione con i suoi collaboratori, il Nunzio chiese il loro parere circa un vescovo francese: “Non so più cosa fare: gli ho manifestato affetto e benevolenza in tutti i modi, ma lui è sempre ostile e polemico”. Al termine della discussione, che non portò lumi speciali, Roncalli concluse: “Dobbiamo pregare San Giuseppe”. Tre giorni dopo il vescovo morì. I suoi collaboratori chiesero al Nunzio: “Ma lei cosa ha chiesto a San Giuseppe?” “Io nulla, ma lui sa!”