“Sarà Roncalli”. L’affermazione era stata pronunciata dal giovane che era seduto vicino a me. Era il 28 ottobre 1958 e la radio aveva annunciato che la fumata dal camino della Cappella Sistina era bianca.
Pio XII era morto il 9 di quel mese, e, da quattro giorni, i cardinali erano chiusi in Vaticano, per eleggerne il suo successore. Il segnale positivo era stato dato e in molti siamo corsi alla sede delle ACLI, in Via Arco d’Augusto, per seguire l’annuncio dalla televisione, allora presente in pochi luoghi. Il bar delle ACLI era uno di questi.
“Sarà Roncalli”. Per me il nome era del tutto sconosciuto, ma di fatto il cardinale protodiacono pronunciò proprio quel nome, aggiungendo che, da allora in poi, si sarebbe chiamato Giovanni. A fare la previsione giusta era stato Angelo Sferrazza, un giovane che conoscevo un po’, per averlo visto a qualche incontro di Azione Cattolica.
Ricordo che fin da allora stava dedicandosi al giornalismo. Dopo aver visto una nostra rivista musicale al Gonfalone, scrisse un articolo molto critico, accusandoci di qualunquismo e citando persino Don Primo Mazzolari. Qualcuno dei nostri spiegò l’incidente con il fatto che, non riconoscendogli la qualifica di giornalista, non gli era stato permesso l’ingresso gratis allo spettacolo. Ma di questo fatto non mi sono mai ricordato di chiedergli ragione.
Anni dopo, quando ero già a Roma, in servizio presso la Segreteria di Stato, ci siamo incontrati di nuovo, dato che le sue tre figlie frequentavano il catechismo presso un centro nel quale anch’io lavoravo con una certa regolarità. Come fanesi trasferiti a Roma, abbiamo mantenuto rapporti, che diventavano più frequenti quando si avvicinavano gli eventi conclusivi della preparazione ai sacramenti.
Per molti anni non ci siamo più visti né sentiti. Ho poi saputo che Angelo era continuamente in viaggio, per svolgere la sua professione, che lo ha portato in un numero impressionante di paesi. Nello stesso tempo, anche io ero fuori dall’Italia, per il mio servizio in diverse Nunziature Apostoliche.
In questi ultimi anni, con il rallentamento delle attività professionali per lui e con il ritorno definitivo in Italia e poi a Fano per me, i nostri contatti si sono intensificati: lunghe conversazioni telefoniche, con racconti di situazioni personali e famigliari ed anche con scambio di opinioni su questioni politiche internazionali. La sua competenza e la sua capacità di analisi mi è sempre apparsa impressionante.
Dato che mi parlava di articoli che stava preparando, gli ho chiesto di farmene avere il testo. Stralcio qualche esempio delle sue annotazioni, frutto di grande esperienza e profondità.
All’avvicinarsi delle ultime elezioni in Israele, dopo aver dettagliatamente illustrato l’itinerario umano e politico di Netanyahu, Angelo considera le prospettive che si aprono allo Stato Ebraico, ancora una volta sotto la guida dello stesso Primo Ministro: «Il rullo compressore di Netanyahu, se formerà il governo continuerà ad avanzare. Molta terra è già stata asfaltata, basterà cambiare il nome delle strade! Netanyahu negli ultimi giorni della campagna elettorale ha promesso in caso di vittoria che avrebbe annesso i territori degli insediamenti. Un sogno lontano la nascita di due Stati. Se formerà un governo con la maggioranza che ha con i partiti religiosi il completamento di “Israele Stato-Nazione degli Ebrei” sarà totale». E quindi, con uno spunto di ironico realismo, conclude: «La vittoria di Netanyahu sarebbe stata perfetta se la sonda lunare Bereshit ( “in pricipio”), contenente una capsula del tempo digitale con oltre cinquanta milioni di pagine di dati, tra cui l’Antico Testamento e che avrebbe fatto di Israele il quarto paese spaziale, non si fosse fracassata nel suolo lunare. Forse un messaggio per Bibi Netanyahu».
Nove giorni prima delle elezioni americane, Angelo presenta un’immagine impietosa, ma del tutto oggettiva, del presidente uscente e della sua politica: «Una campagna elettorale fuori degli schemi per il coronavirus di Trump, ma superato con facilità, cavia di nuovi farmaci miracolosi, solo per lui! Il Covid-19 è tato uno dei temi più importanti dello scontro elettorale. Una dimostrazione ancora una volta, della “variabilità” di Trump, reduce da un quadriennio di politiche alternanti e contraddittorie in casa e fuori. Con viaggi entusiasti nella tana del lupo, Cina, Corea del Nord, qui al limite del macchiettismo, in India, Giappone, Europa con brutte figure di ogni genere e in casa un viavai di collaboratori di ogni livello. Un elenco senza fine, con qualche strappo alla Costituzione e alla prassi. Un uso disinvolto della Guardia Nazionale e FBI nelle proteste in seguito alla morte di George Perry Floyd a Minneapolis». Ma poi continua, mostrando ancora una volta, una profonda conoscenza della realtà degli Stati Uniti, non riducibile solo alle grandi città universalmente conosciute: «Per capire il successo di Trump bisogna conoscere gli Stati Uniti, non fermarsi a New York, Washington, Boston, S. Francisco. Bisogna scendere nell’Arkansas, in Alabama, Georgia, Michigan o Stati del centro come Nebraska, Tennessee ed altri. Trump è un grande attore, parla alla pancia degli elettori, si immedesima in loro. Questo basta per vincere una elezione, ma non per conservare il ruolo degli Stati Uniti come guida e prima potenza del mondo». E, senza cadere nella tentazione di fare previsioni, conclude: «I democratici hanno un programma ragionato, volto verso il futuro, ambiente, lotta alla povertà, coerente con la Costituzione. E Biden, con qualche inciampo e tentennamento. è stato capace di presentarlo. Accanto a lui Obama che è uscito allo scoperto e con coraggio. Ma gli americani sanno che questa volta si vota anche per i vice Presidenti, data l’età dei candidati, 74 Trump e 77 Biden, per il conservatore Mike Pence e Kamala Harris, la prima donna che sarebbe eletta come Vice-Presidente, senatrice della California, di madre indiana, padre giamaicano e un marito ebreo. Sarebbe la nuova America che avanza. Meno otto… a mercoledi 3!»
Voglio ricordare anche due belle pagine di ricordi, scritte con sobria vivacità. La prima è un ritratto di una sua zia, “la signora maestra”, bella figura di insegnante, al lavoro fin dall’inizio del secolo scorso e attaccatissima alla sua missione. Nonostante la riservatezza della donna, nel corso degli anni, Angelo era riuscito a cogliere alcuni dettagli della sua vita: «Un giorno il nipote ascoltò una breve conversazione fra la zia e una signora. A proposito di piazzale Loreto. La signora chiedeva alla “signora maestra” cosa ne pensasse. La zia rispose: “Un regime nato sulla violenza, non poteva finire che nella violenza”. Cosa pensava la “signora maestra” della politica? Era stata una delle prime donne ad iscriversi al Partito Popolare di Sturzo. Quando le fu chiesto dal direttore didattico di iscriversi al partito fascista ed indossare la divisa rispose di no. Pregata dal direttore che le disse “Signora maestra lei mi mette in imbarazzo”, scrisse una lettera di dimissioni. Lasciò la scuola. Con lei fu espulsa una collega comunista. Senza stipendio». Dopo la morte della zia, avvenuta nel 1968, Angelo cercò di capire che cosa questa facesse con il denaro della sua pensione, che non spendeva mai per comperare qualche vestito decente per sé. E alla fine, ricordando i movimenti della “signora maestra” e con un attento esame dei suoi libretti postali, il dubbio fu chiarito, rivelando una storia che ha il sapore di moderni “fioretti”: «La chiave di lettura erano le ultime date che corrispondevano a quando era accompagnata in chiesa e alle soste vicino alle due case. Aveva fatto studiare due ragazzi, che si diplomarono e che non lo avranno saputo, perché la “signora maestra” avrà chiesto alle mamme di non dire niente. Al nipote venne una curiosità. La zia aveva più volte ricordato la storia della sua collega comunista, cacciata dalla scuola senza stipendio. Controllo di date. Corrispondevano! E le cifre erano sostanziose. Fra i libretti verdi c’era il suo libro di meditazione: “Signore resta con noi perché si fa sera”. I pochi libretti postali quasi vuoti».
A proposito del direttore scolastico che aveva costretto la zia maestra alle dimissioni, mi raccontava che, durante gli anni del fascismo, era stato fedelissimo alle norme stabilite ed aveva voluto impedire ad Angelo di entrare a scuola, perché non indossava la camicia nera. E pensare che, passato quel tempo, continuò ad essere direttore ma ormai iscritto al Partito Comunista.
Ho sotto gli occhi un altro gioiello, questo con i ricordi del ritorno a scuola dopo il periodo di sfollamento a Corinaldo per il passaggio del fronte. Le difficoltà dei primi mesi di insegnamento, senza una sede appropriata e senza libri di testo: «La scuola non era solo un problema organizzativo: bisognava defascistizzarla. A cominciare dai libri di testo. Si salvavano solo quelli di aritmetica. Qualche problema organizzativo presto risolto, ma non il riscaldamento! Noi ragazzini di terza elementare, che abitavamo nella zona del Lido e del porto, fummo ospitati, direi ammassati, in due saloncini all’interno dei locali della parrocchia di San Giuseppe al Porto. Mancava tutto, quaderni, penne, matite, inchiostro, lavagne … Non facile per la nostra maestra, Emma Brattella, moglie del prof Aldo Brattella pittore di grande qualità, tenere la disciplina e farsi ascoltare. Il mio compagno di banco veniva in classe con un pugnale d’assalto delle SS. Quello era il clima! Ma la maestra era abile e ci riuscì. Usò anche il giornale! Arrivava in classe tutte le mattine con Il Giornale dell’Emilia, nome defascistizzato de Il Resto del Carlino». Questi dettagli mi hanno commosso, perché la sua maestra Brattella divenne più tardi la mia professoressa di lettere alle medie e suo marito fu professore di disegno. Anch’io ho di lei e di lui un grato ricordo. La scuola in cui gli alunni furono in seguito trasferiti era il Corridoni, dove, insieme con i miei tre fratelli, anch’io ho frequentato i cinque anni delle elementari, chiedendomi sempre cosa volessero dire quelle lettere “EF” con alcuni numeri romani, scalpellati ma ancora ben visibili.
La riflessione con la quale Angelo chiude i suoi ricordi del ritorno a scuola, letta ora dopo la sua morte, ha un impatto ancora più forte: «La nostalgia è come una lente deformante: può esaltare o annebbiare, luoghi, fatti. Ma senza nostalgia non c’è memoria, né presente. E quel momento esaltante dopo la Liberazione lo si deve ricordare, in un momento come questo dove il mondo vive di velocità e consuma se stesso alla ricerca del nuovo ad ogni costo. Come confrontare la nostra riapertura delle scuole con l’attuale? Quasi impossibile. Ma identici i valori della centralità della scuola. Le nostre difficoltà non sono paragonabili a quelle di oggi. Allora il pericolo lo avevamo lasciato alle spalle e guardavamo avanti con sicurezza, speranza, ora il pericolo è drammaticamente presente: il Covid-19. Ma la scuola è speranza e gli insegnanti lo sanno. Con quelli nostri del ’45, condividono lo stesso spirito di servizio. Ora il computer, ieri Il Giornale dell’Emilia. E poi la forza dei fanesi che hanno saputo far fronte ai disastri materiali e morali della guerra: lo faranno anche per questa».
Scrivendo così, Angelo non pensava che quel pericolo, “drammaticamente presente”, lo avrebbe colpito. Ma, contemplando il mistero della morte, mi sembra che sia doveroso ringraziare il Signore che gli ha permesso di non sperimentare l’umiliante degrado e l’impotenza della vecchiaia. Angelo ci ha lasciati nel pieno del suo vigore creativo e della sua attenta introspezione della realtà. Così lo ricorderemo nella preghiera e nella gratitudine.