Riflessione spirituale sullo STABAT MATER di Boccherini

Loreto, Basilica della Santa Casa, 7 aprile 2011

La presenza di Maria ai piedi della croce di Gesù è ricordata soltanto nel Vangelo di Giovanni. La descrizione che l’evangelista fa di quella scena è estremamente sobria: “Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Cleopa e Maria di Magdala” (Gv 19,25).

Subito dopo, Giovanni registra l’episodio in cui Gesù affida Maria a Giovanni e Giovanni a Maria: “Donna, ecco tuo figlio”; “Ecco tua madre” (Gv 19,26-27). Parole alle quali, giustamente, la Chiesa ha attribuito una grande importanza per capire il ruolo materno di Maria nella storia della Chiesa nascente, e quindi nell’intera storia della salvezza, ovvero nella storia personale di ciascuno di noi.

Iacopone da Todi è tradizionalmente indicato come l’autore del poema “Stabat Mater”, che la Chiesa utilizza come sequenza, nella liturgia della Madonna Addolorata, il 15 settembre. Il poeta, nato verso il 1233, dopo aver vissuto un primo periodo della sua vita in maniera mondana e priva di preoccupazioni spirituali, fu profondamente sconvolto dalla morte della moglie, in un tragico incidente accaduto durante una festa da ballo. Solo allora egli si rese conto che la sua donna, anche se l’accompagnava nei divertimenti a cui egli si dedicava con passione, di fatto viveva una vita di penitenza e di rinunce. Deciso di seguire più seriamente il Vangelo, dopo aver lasciato i suoi beni ai poveri, Iacopone intraprese una vita randagia e divenne infine frate francescano.

La partecipazione di Maria alla passione di Gesù fu per Iacopone una fonte continua di ispirazione, per le sue composizioni poetiche. La perdita da parte di una madre dell’unico figlio, è un fatto di fronte al quale nessuno potrebbe restare insensibile. La morte è il destino normale di ogni persona, ma, mentre appartiene all’ordine della natura che un figlio debba accompagnare i suoi genitori negli ultimi momenti della loro vita, la morte di un figlio è per un genitore qualcosa di atroce e assurdo, perché va in direzione opposta al normale progetto della natura.

Iacopone entra in questo mistero di sofferenza umana, con i versi latini dello “Stabat mater”. In lingua volgare – un italiano ancora arcaico, ma già completamente staccato dal latino – Iacopone scrisse anche una toccante lauda, ricordata come “Il pianto della Madonna” oppure, dal primo verso “Donna del paradiso”.

Questa composizione, che mi piacerebbe tanto vedere rappresentata qui in Basilica, si svolge come un colloquio tra Maria, un messaggero che l’interpella e le porta le notizie della passione, e quindi il popolo e Cristo. Il poeta segue gli eventi del venerdì santo dall’arresto, al processo di Pilato, al cammino al Calvario, alla crocifissione e infine alla morte. In alcuni versi molto intensi Iacopone spiega la missione che Gesù chiede a Maria di svolgere, negandole per questo la possibilità di morire insieme con lui:

                                                 Mamma, perché te lagni?

                                                 Voglio che tu remagni,

                                                 che serve i miei compagni

                                                 ch’al mondo agio acquistato.

          Questa è l’interpretazione della consegna di Maria a Giovanni:

                                                  Mamma col core affetto,

                                                 entro a le man te metto

                                                 de Joanne, mio eletto;

                                                 sia il tuo figlio appellato.

          E poi, a Giovanni:          

Joanne, esta mia mate

                                                 tollela en caritate

                                                 aggine pietate

                                                 ca lo core ha forato.

Ancora a quel tempo, la nuova lingua italiana era considerata meno adatta a testi solenni e importanti, per i quali appunto ci si serviva preferibilmente del latino. Il latino di Iacopone è però ben lontano dal latino del periodo classico. Il ritmo della poesia latina era dato dal suono lungo o breve delle vocali, mentre qui è provvisto dagli accenti, e i versi si concludono con la rima, come avverrà nella poesia in italiano e nelle altre lingue moderne: “Stabat Mater dolorosa /iuxta crucem lacrimosa”.

Lo “Stabat Mater” di Iacopone è usato nella liturgia come sequenza, e cioè come brano di riflessione che segue e completa il salmo responsoriale, dopo la prima lettura biblica. Le altre sequenze che si possono usare nel corso dell’anno liturgico sono: “Victimae pascali”, per l’ottava di Pasqua; “Veni Sancte Spiritus”, per la solennità della Pentecoste; “Lauda Sion”, per il Corpus Domini – composta da S. Tommaso d’Aquino; e infine la più famosa di tutte, il “Dies Irae” della liturgia funebre.

Nello “Stabat Mater”, il poeta contempla la Madre addolorata sotto la croce, sulla quale sta morendo il figlio, Gesù. La descrizione accorata del dolore di Maria ha il fine di richiamarci alla compassione e alla partecipazione a questo grande atto di amore, dal quale dipende la nostra salvezza.

L’influsso di questo brano nella riflessione cristiana è stato grande in ogni epoca. La devozione alla Vergine addolorata è stata accolta con spontaneità in ogni luogo in cui il Vangelo è stato annunciato, perché ovunque ci sono madri che, nelle loro prove, si sentono vicine alla Madre dolorosa.

Oltre a stimolare la preghiera dei fedeli, il testo ha ispirato tanti artisti nella rappresentazione della crocifissione di Gesù, nella quale Maria, insieme con Giovanni, è ai piedi della croce. Ma lo stesso spirito anima anche le raffigurazioni della “Pietà”, che si riferiscono al momento successivo, quando il corpo esanime di Gesù, schiodato dalla croce, è deposto sulle ginocchia della Madre. Un artista che è tornato più volte su questo tema è Michelangelo. In quella che fu probabilmente la sua ultima scultura, la “Pietà Rondanini”, egli ha rappresentato Maria non più seduta, come nella giovanile Pietà di San Pietro, ma in piedi, a reggere il corpo del Figlio, con il quale Ella quasi si fonde. Dopo aver ripetutamente modificato la composizione del gruppo, l’artista lo ha lasciato in una soluzione di “non finito”, nella quale i due volti sono appena accennati. Eppure, mentre Cristo ci appare, in un abbandono totale, nella pace della morte, il volto di Maria esprime con grande intensità il suo dolore, quasi a interpretare visivamente il “lacrimosa” con cui la descrive Iacopone.

Lo “Stabat Mater” ha ispirato anche i musicisti di ogni epoca. La versione musicale più nota, delicatissima e per questo spesso strapazzata nelle interpretazioni popolari, è quella in gregoriano: sobria, toccante e facile da ricordare.

Nel periodo del ‘700, la lauda di Iacopone, con le sue espressioni di sentimenti forti, ha trovato interpreti di grande valore. Proprio in questa Basilica, nel mese di novembre scorso, abbiamo ascoltato la composizione di Gianbattista Pergolesi. Oggi ci è proposta quella, di qualche decennio posteriore, di Luigi Boccherini.

Secondo alcune informazioni, il musicista lucchese, che viveva e lavorava presso la corte del Re di Spagna, avrebbe composto questa sua opera in onore dell’Ambasciatore di Francia a Madrid, Luciano Bonaparte, nel 1799. Vedo però che l’edizione che sarà qui eseguita è la prima, quella del 1781. Il che significa che Boccherini tornò più volte sulla sua opera, offrendone diverse versioni.

Nella mia scarsa conoscenza musicale, identificavo Luigi Boccherini soltanto con una musica facile e piacevole, quella dei minuetti, tanto per intenderci. Non mi aspettavo quindi una composizione di tanta intensità drammatica e religiosa come questo “Stabat Mater”, che è concordemente riconosciuto come un capolavoro. Di fatto, pur con le sue grandi qualità, il musicista ebbe una vita difficile e una carriera con momenti alterni di successo e poi di oblio, conobbe molti dolori nella sua famiglia e, per la precarietà delle fortune politiche dei suoi protettori, si trovò spesso in condizioni di vera e propria miseria.

Oggi però, Luigi Boccarini viene a noi per proporci la sua intensa interpretazione della partecipazione di Maria alla passione del Figlio. Il concerto ha come titolo: “Armonie dello spirito. Meditazioni musicali per le Basiliche”. Ci affidiamo all’Ensemble Aurora ed al soprano Gemma Bertagnolli per vivere insieme questa meditazione musicale. Nel farlo, non possiamo dimenticare la presenza in questa Basilica della Santa Casa, il semplice edificio di famiglia che Maria lasciò un giorno per recarsi a Gerusalemme, richiamata da notizie preoccupanti sulla incolumità di Gesù, contro il quale ormai era scoppiato l’odio dei suoi nemici. Una composizione di luogo che ci può aiutare a dare a questo momento di godimento armonico un intenso significato di preghiera.

          Grazie e buon ascolto.