I primi amici che ho avuto in Camerun sono stati due ragazzetti che, all’inizio, avevo preso per fratelli, ma dei quali seppi poi che erano soltanto cugini: Robert e Clément. Un giorno che stavo tornando in Nunziatura dopo una visita in città, li ho incontrati sulle rampe del Mont Fébé. Scendevano insieme, a tutta velocità, a cavallo di una bicicletta di legno. Ho fatto loro segno e si sono fermati. Abbiamo chiacchierato un po’ e mi hanno spiegato che abitavano poco distante. La bicicletta l’avevano fatta loro, con pezzi di legno tagliati nella foresta e messi insieme con spaghi, chiodi e strisce di gomma di pneumatico. C’era anche il freno: un legno che, spinto col piede, toccava la ruota e ne rallentava la velocità.
Alcuni giorni dopo si sono presentati in Nunziatura, dato che avevo spiegato dove abitavo. Li ho conosciuti meglio: Robert aveva 12 anni, Clément 11. Il padre era tipografo. La mamma faceva le faccende di casa e prendeva cura dell’orto. Anche loro aiutavano con tanti lavori, per pulire l’orto, raccogliere la legna, fare le spese e cacciare piccoli animali, con la fionda o con le trappole. Avendo sentito che avevano diverse fionde, fatte proprio come le nostre, con elastici di pneumatici e il manichetto di legno, ne ho chiesta una in prestito. Speravo di poter cacciare i corvi che mi svegliavano ogni mattina. Ma questa è un’altra storia.
Con il passare del tempo, la conoscenza si è approfondita. Mentre Clément era timido e riservato, Robert diventava sempre più attaccato a me e sincero nelle sue confidenze. Per questo, mi spiegò meglio la sua situazione. Non era fratello di Clément ma solo suo cugino. Non sapeva chi fosse suo padre. Sua madre, che non era sposata, era mentalmente malata. La sorella si era fatta carico del nipote e lo teneva con sé, ma suo marito non aveva affetto per Robert e voleva che si mantenesse da solo. Per questo, pur essendo tenuto in casa come un figlio, Robert era richiesto di fare tanti lavori in più, mentre Clément era pigro e si appoggiava molto sul cugino, facendogli anche pesare la loro diversa situazione. Robert raccoglieva legna nella foresta, la tagliava in dimensione adatta e poi la vendeva. Con il denaro che guadagnava, doveva pagarsi la scuola, libri e quaderni ed anche i vestiti.
Robert era anche bravo nel cacciare e nel prendere animali alla trappola. Una volta mi portò una pernice in regalo. Gli chiesi che, da allora in poi, mi portasse ogni pernice che prendeva, che gli avrei pagato al prezzo giusto. L’accordo funzionò bene per tutto il tempo della mia permanenza a Yaoundé.
Una volta, Robert mi raccontò che, alcuni giorni prima, era stato morso due volte da un serpente, mentre ripuliva l’orto dalle erbacce. I segni dei denti erano ancora visibili. Corso subito a casa, sentiva già l’effetto del veleno, che lo stava paralizzando. La zia l’aveva portato da una guaritrice, mentre lui era già irrigidito e quasi fuori conoscenza. La donna lo tenne per un paio di giorni nella sua capanna, somministrandogli pozioni da lei preparate. Poi lo congedò, assicurandogli che, per qualche giorno ancora, sarebbe stato immune dall’effetto di altri eventuali morsi. Il che puntualmente accadde, ma Robert non ne ebbe nessuna conseguenza, se non quella di avere, su ambedue gli avambracci, quattro cicatrici doppie, due delle quali evidentemente più recenti. Il serpente, che doveva essere nella stagione della riproduzione, e quindi più irritabile del solito, si era sentito minacciato ed aveva morso rapidissimamente le due braccia di Robert, abbassate per estirpare le piante parassite. Senza l’intervento della curatrice, il ragazzo sarebbe morto.
Incidenti del genere erano ancora frequenti, e la varietà dei serpenti velenosi era spaventosamente alta. Anche nel bollettino di stampa, appariva spesso la notizia di qualcuno che era morto “per il morso di un serpente”.
Quando lasciai il Camerun, Robert era cresciuto molto. Probabilmente aveva un’età più alta di quella che mi aveva detto, ma non aveva nessun certificato di nascita che lo potesse testimoniare. Mantenni con lui i contatti per qualche tempo, finché studiava in una scuola professionale a Bafia. Poi i contatti diventarono più rari e infine non ne seppi più nulla. È quello che, prima o poi, mi è accaduto con tutti coloro che ho conosciuto per un periodo, più o meno breve, e che ho poi lasciato a continuare il loro cammino, mentre io continuavo il mio.