luglio – agosto 2008
In queste settimane, la grande statua di Papa Sisto V, che siede solenne nel sagrato della Basilica di Loreto, sembra avere un’aria del tutto diversa dal solito. Gli storici dicono che Felice Peretti avesse un carattere collerico ed una forza di volontà superiore a quella di chiunque altro. Una volta Papa, in soli cinque anni, è riuscito a rimettere in ordine l’amministrazione dello Stato Pontificio, ha ridotto l’attività dei briganti che infestavano i dintorni della capitale, ha restaurato mezza Roma, ha fatto completare grandi opere iniziate da tempo e mai finite, ne ha iniziate altre e le ha portate a termine. È persino riuscito a far pagare le tasse ai romani. Se è vero quello che si racconta, proprio per questa ultima più difficile impresa fece attribuire ai marchigiani un detto, che ancora si ricorda e che forse è meglio non citare proprio ora.
Ma torniamo alla statua: in queste settimane, dicevo, sembra che il volto normalmente severo del grande Papa si distenda in un’ombra di sorriso bonario, quasi che si stia rallegrando di quello che accade sotto i suoi occhi. Perché in queste settimane, a Loreto si vive in pieno l’intensa stagione dei pellegrinaggi. Cresce il numero dei fedeli che, in gruppo o da soli, vengono al Santuario per una visita, breve o più prolungata. Nello stesso tempo, da ogni parte d’Italia giungono i treni bianchi, con schiere di volontari che accompagnano malati ed anziani, tutti animati dallo stesso desiderio di vivere per qualche giorno nell’intimità e nel silenzio della Casa di Maria.
La fisionomia stessa della cittadina, nella zona del Santuario, ne risulta cambiata: dalle prime ore del mattino fino a tarda sera, si incontrano le volontarie, che, con il loro abiti bianchi e il velo in testa, attraversano la piazza, indaffarate nell’offrire ai malati ogni possibile assistenza, con delicatezza e un bel sorriso; e i barellieri, in giacca azzurra, che spingono le carrozzelle di quelli che non possono camminare da soli e aiutano chi riesce a muoversi, ma lo fa con fatica. Talvolta, i diversi gruppi si mescolano e si confondono, e ci sono pellegrini che passano e bambini che giocano in mezzo ai malati e ai volontari, in un disordine festoso, quasi sempre mantenuto però sotto un attento controllo.
Questa è la Loreto che conosciamo e amiamo: la Loreto degli ammalati che vengono a cercare serenità e conforto; la Loreto dei volontari che danno un po’ del loro tempo, in una risposta generosa alla domanda di Gesù: “Ero malato”; la Loreto verso la quale si rivolge il cuore dei pellegrini, che tra le pareti del Santuario ringraziano per le loro gioie, cercano una risposta ai loro desideri, ai loro dolori, e forse anche ai loro dubbi. Se potessi nascondermi in un angolo della Santa Casa, per assistere, senza essere visto, ai diversi passaggi dei fedeli, sarei testimone di tanti momenti di grande intensità: ringraziamenti detti tra le lacrime, richieste sospirate e ripetute, e soprattutto silenzi profondi di tutti coloro che, senza chiedere nulla, vogliono solo sentire nel cuore la pace trasmessa da quelle pareti, tra le quali si sente forte la presenza della Madre.
Mentre godo di questo spettacolo di fede, mi chiedo: in che cosa Maria rende vero il titolo di affetto che le attribuiamo, in una delle invocazioni delle Litanie Lauretane: “Salute degli infermi”? È vero che nei santuari mariani si verificano guarigioni miracolose, in casi eccezionali riconosciute come tali anche dalle competenti autorità scientifiche. È d’altra parte vero che un numero maggiore di malati riceve grazie e trova un conforto fisico nelle proprie infermità, anche se l’episodio non è portato alla conoscenza di tutti e rimane nel segreto della coscienza di pochi.
Ma ben più spesso, Maria è salute degli infermi, perché ci dona la serenità per affrontare in maniera positiva i nostri limiti fisici, i nostri acciacchi ed anche le nostre gravi malattie. La gioia sincera che si legge sul volto dei tanti malati che vengono in pellegrinaggio a Loreto ci fa capire che l’infermità, anche se grave e dolorosa, è stata in loro ormai superata. Non perché non ci sia più, ma perché ha perso il suo aspetto negativo, come fonte di sconforto e persino di disperazione. Anche malato posso fare tanto, proprio perché malato posso amare di più. Maria ci prende per mano e ci accompagna a seguire Gesù, portando la croce. Una croce che pesa di meno, quando la portiamo insieme: insieme con Lui e con Lei, in una unità di amore e di donazione.