Terzo anniversario della morte di Paolo

Fano, Cattedrale, 9 Ott 1997, Giovedì della XXVII sett.

Malachia 3, 13-20a
Luca 11, 5-13

Nei giorni scorsi, mi sono dedicato a mettere in ordine le lettere che Don Paolo scriveva dal Brasile a babbo e mamma. Sono tante e ci vuole tempo anche solo per metterle in fila. Immaginate poi per cercare di leggerle, tutte o almeno in parte. Dato che siamo in famiglia – e intendo la speciale famiglia degli amici di Paolo – spero che non vi dispiacerà se faccio qualche riferimento a quello che egli scriveva nei primi sei anni della sua permanenza a Salvador, per informare e per manifestare i propri sentimenti di fronte alle notizie, talvolta belle ma spesso anche dolorose, che riceveva da Fano.

Nelle lettere si parla di avvenimenti diversi, come innamoramenti, fidanzamenti, matrimoni, nascite. Ci sono riferimenti a un mondo che è ormai lontano: i saluti per tante persone che allora vivevano e lavoravano nell’ambito della parrocchia, e sono ora in vari modi lontani; il ricordo di istituzioni che esistevano allora e che ora sono dimenticate: chi di voi, per esempio, ricorda il “Bertin Club”? E poi nomi anche di gente di quel tempo, e che ora è tornata: “Se non vi scomoda, dovreste portare i dischi a D. Tomassetti in Seminario Regionale, perché possa gustare la musica di qui” (4 Apr 1966). Capite bene che si tratta del nostro Vescovo Coadiutore, Mons. Vittorio Tomassetti.

Ho trovato anche annotazioni colorite, per spiegare ai genitori, evidentemente preoccupati, il diverso modo di vivere e di pensare in Brasile, dove, in quei tempi, Vescovo, preti e suore andavano insieme alla spiaggia. In questo contesto, mi è capitata anche una frase, forse non molto gentile, ma certo simpatica.  Paolo manda a casa delle foto e commenta: “Così potrete vedere le facce delle ragazze italiane, facce che non fanno davvero venire nessuna tentazione” (23 Apr 1966).

C’erano spesso commenti sulla frequenza delle lettere. Nella lista dei buoni: “Gino e Rossana sono quelli che rispondono di più” e, dall’altra parte dello spettro, tra i cattivi: “Da Giovanni le lettere vengono col contagocce, ma cerco di scrivergli lo stesso, anche se penso che di tempo ne abbia meno io” (7 Dic 1971).

A proposito mio, in quei primi anni dell’assenza di Paolo dall’Italia, successero delle cose importanti: l’ordinazione sacerdotale, la chiamata a Roma, la partenza per il Cameroun. I commenti di Paolo arrivavano puntuali e sinceri. Ve ne faccio sentire alcuni, in successione: sono molto personali ma credo che valga la pena che anche voi li ascoltiate: “Ho fatto vedere ai miei parrocchiani le foto della Ordinazione di Giovanni, avevano già pregato per lui e mi hanno detto che sarebbe molto bello se mi venisse ad aiutare” (23 Apr 1966); poi, quando venni chiamato a Roma per entrare nel servizio diplomatico: “Mamma, mi chiedi una impressione sulle decisioni di Giovanni. Ho già scritto all’interessato dando il mio appoggio perché so che ci saranno alcuni che cominceranno a dire che vuol fare carriera ecc. Penso che la strada che ha scelto sia molto difficile, non so se avrei il coraggio di affrontarla, anche perché penso che dopo il Concilio il servizio diplomatico della Santa Sede sia superato come la bugia nella messa del Vescovo. Certo avrei preferito, sarei stato molto contento se fosse potuto venire quaggiù a darmi una mano. Non è stato possibile, pazienza! Per me Giovanni ha fatto una scelta che è una missione difficile e perciò voglio essergli più che mai vicino perché possa continuare a realizzarsi sempre di più e a sentirsi appoggiato anche in mezzo alle sofferenze che ha e che avrà” (25 Apr 1968). Partenza per il Cameroun: “Capisco che la partenza di Giovanni sia stata una bella botta per voi, ma penso anche che possiate eser contenti perché, anche se in posti differenti e così lontani, stiamo cercando di fare qualcosa per la costruzione del Regno di Dio” (25 Set 1971); e ancora, più tardi: “Ho anche ricordato i sei anni di Messa di Giovanni. Ho celebrato per lui in mezzo alla mia gente e anche la gente ha pregato per lui. È bello che ci sentiamo vicini anche se tra noi c’è un mare d’acqua! Mi sento sempre di più vicino a Giovanni. È chiaro che il lavoro che facciamo è un po’ differente, ma è sempre per la medesima finalità, costruire il Regno del Signore e in questa costruzione c’è posto per tutti. L’importante è che cerchiamo, veramente, di essere uomini di Dio in mezzo ai fratelli, persone che danno la testimonianza di quello che credono” (27 Mar 1972). Sarebbe stato bello, in quegli anni, se avessi saputo che Paolo aveva scritto queste parole!

Ora ancora una guardatina ad alcune espressioni che, una volta scoperta l’immensa dimensione della povertà e dell’ingiustizia che regnano in Brasile, mostrano già il formarsi in Paolo di un impegno preciso per l’evangelizzazione nella promozione umana. Il potere era allora in mano ad un governo militare. I giudizi sono lucidi e le scelte molto chiare: “Qui a Salvador la situazione sembra un po’ più calma. Naturalmente io mi sento tranquillo. Penso che dobbiamo continuare il nostro lavoro, perché dobbiamo obbedire non agli uomini ma a Dio” (24 Lu 1971); “Domenica scorsa ha fatto l’ingresso in diocesi il nuovo arcivescovo Dom Avelar. Mercoledì è venuto in parrocchia a visitare i sinistrati, è stato più di un’ora in parrocchia. Un fatto abbastanza strano per l’ambiente, perché Dom Eugenio non andava mai in mezzo al popolo. Vedremo come sarà questo nuovo vescovo. Per ora sembra molto alla mano. Lascia parlare e sta a sentire. Speriamo che stia un po’ di più in mezzo alla gente e un po’ di meno in mezzo ai generali” (4 Giu 1971); “Il posto medico continua sempre chiuso. Non vedo possibilità di riapertura ma credo che sia bene perché così la gente mi vede meno come assistente sociale e più come prete e poi si deve accorgere che l’assistenza è compito del governo, che non vuol far niente” (19 Giu 1971); “Ma non credete che lavori solo a costruire chiese di terra: il catechismo continua in 4 posti, ogni posto con almeno 4 gruppi di bambini” (21 Nov 1966); “Non crediate che il lavoro si riduca solo a cose materiali, per es. stasera faremo per la prima volta a Fazenda Grande un’ora di adorazione” (7 Mar 1968). Detto tra parentesi, quando Paolo lasciò Fazenda Grande, l’ora di adorazione si svolgeva regolarmente due volte alla settimana. E ancora, dopo l’uccisione di un prete a Recife: “Noi si continua come prima il nostro lavoro, solo con un po’ più di prudenza che non vuol però dire vigliaccheria” (2 Giu 1969); “Certo, babbo, tu dirai che devo essere prudente, ma altro è la prudenza, altro è l’essere conigli e mi pare che di conigli la Chiesa abbondi” (26 Mag 1969); e infine: “A Salvador la situazione almeno per il clero è buona perché il Vescovo è amico del governo. Ma non so fino a che punto questo sia bene perché la gente più cosciente si sta allontanando dalla Chiesa che si vende al governo” (16 Sett 1969).

In tutto questo, possiamo riconoscere già la linea di una missione che Paolo ha vissuto con coerenza fino in fondo. L’affetto della gente l’ha accompagnato fin dall’inizio, addirittura con delle esagerazioni. Sentite questa: “La gente mi vuole un bene che io ritengo abbastanza immeritato. Pensate che ad una mia domanda: ‘Chi è il Buon Pastore?’ la risposta è stata: Padre Paolo. Ho dovuto faticare non poco per dimostrare che il buon Pastore è prima di tutto Gesù” (13 Ap 1972). E sentite come Don Renzo Rossi lo descriveva in una lettera ai nostri genitori, già nel 1966: “Paolo è davvero un ragazzo eccezionale, pieno di generosità e di entusiasmo. Lasciatelo dire a me che sono vecchio (41 anni!) e che i preti li conosco. Ha solo il difetto di voler lavorare troppo. Vi chiedo dunque il permesso di prenderlo a nocchini, quando è necessario” (26 Apr 1966).

Mi sono dilungato in una rievocazione che può sembrare fuori dal tema, e me ne scuso con voi. Non era comunque fuori dall’impronta del messaggio evangelico. Ma ora torniamo alla pagina di Vangelo che abbiamo ascoltato. È una pagina tutta dedicata all’importanza della preghiera. Preghiera che deve essere insistente e fiduciosa, perché Dio è un Padre buono, e desidera che i suoi figli abbiano quanto serve per la loro felicità. Certo, rimaniamo perplessi quando, nell’ultima riga, il Signore conclude: “Quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono”. Verrebbe da dire: ma noi chiediamo a Dio altre cose, più terra terra, ma che ci sembrano volta per volta importanti per la nostra vita.  I piani di Dio sono talvolta difficili da capire; il dolore e la morte sono parte inevitabile della nostra esperienza, anche se noi vorremmo farne a meno. Dio non ci chiede di capire né di vivere le esperienze difficili con una allegria che non potrebbe che essere bugiarda. Egli ci chiede solo di accettare, con i sentimenti di Cristo, e di attendere, proprio come frutto della sconfitta della morte, la vittoria della risurrezione.

L’invito quindi è a pregare, con insistenza e con fiducia. In ogni sua lettera Paolo ripeteva l’invito a pregare per lui e più spesso a pregare insieme con lui: “Restiamo sempre uniti nella preghiera” è la frase che chiude quasi tutte le sue lettere. “Ricordiamoci nella preghiera, soprattutto nella Messa, perché allora le distanze non contano più e siamo più vicini che mai” (4 Mag 1972). Una convinzione che ha vissuto sempre e che ha manifestato ancora alla fine quando, partendo dal Brasile per tornare in Italia a curarsi, diceva ai suoi parrocchiani: “Siamo divisi ora da chilometri di distanza, ma penso che ogni volta che ci uniamo nella preghiera, quando stiamo pregando e ascoltando la Parola di Dio siamo vicini, perché Dio è al di là di ogni distanza e ascolta le nostre suppliche in qualsiasi posto siamo. Dio è Padre, non si allontana mai da noi e sempre ascolta le nostre preghiere, le nostre suppliche” (13 Ago 1993).

L’atteggiamento costante di preghiera appare specialmente a commento delle diverse notizie ricevute circa la morte di persone care, notizie rese più dolorose dalla distanza e dall’impossibilità di avere un contatto diretto con chi era colpito dal lutto. È una lista molto lunga: il nonno, lo zio, la zia, il piccolo Michele, il piccolo Andrea, la Signora Castellani, il padre di…, la madre di… Non ho mai trovato parole che cercassero di dare delle spiegazioni alla sofferenza e al dolore. C’è solo l’assicurazione che lui era vicino con la preghiera, e talvolta con la richiesta di offrire la sofferenza per motivi apostolici: “Offriamo le nostre sofferenze con questa finalità” (21 Feb 1972). “Mi dispiace per Don Domenico, spero oggi stesso di scrivergli una lettera, comunque ditegli che gli sono vicino e che offra un po’ della sua sofferenza per il mio lavoro quaggiù, per i seminaristi, per la mia gente” (24 Ap 1967). E ancora: “Sono vicino a te, a zia Paolina in questo momento di dolore. Ho pregato e continuerò a pregare per l’anima della zia. Domani celebrerò la S. Messa per lei.  Quando ci troviamo di fronte ad una morte è sempre difficile trovare parole di conforto, parole di spiegazione. Penso che l’unica cosa sia continuare a pregare il Signore perché l’accolga nel suo Regno. In queste circostanze sento ancora di più il fatto di stare lontano da casa, ma penso che debba offrire al Signore questo sacrificio” (10 Mar 1971).

         Lo stesso diceva alla sua gente molti anni dopo, nell’ultimo saluto da Bologna, quando era ormai vicino alla morte: “È un periodo abbastanza duro ma sono tranquillo e offro a Dio le sofferenze. Siamo uniti anche alle sofferenze di Cristo e di tutti i fratelli, sapendo che hanno un valore immenso davanti a Dio” (Sett 1994).

Paolo aveva la coscienza chiara dell’importanza della preghiera, non come pausa di riposo, ma come momento fondamentale nel lavoro apostolico. La preghiera è indispensabile per assicurare l’efficacia e la continuità della missione. Solo se siamo convinti che chi opera è Dio, mentre noi siamo Suoi strumenti, possiamo andare avanti anche di fronte a difficoltà e insuccessi. Il nostro lavoro ha limiti e difetti, può toccare alcuni e lasciare molti indifferenti. Ma la nostra preghiera apre spazi a Dio per incidere nel cuore dei tanti che hanno bisogno di conversione. Le mode cambiano e le ideologie invecchiano; gli impegnati di ieri possono essere oggi comodamente seduti, ripensando magari con disillusione ironica alle convinzioni del passato. L’impegno di fede resta invece costante e non si interrompe, perché è sempre basato su una ragione precisa: Dio, che è Padre, darà ai Suoi figli lo Spirito Santo e, attraverso il dono dello Spirito, la vera liberazione, la salvezza piena.