Parto con Julius, l’autista, per andare a Nakuru. Ho un impegno con la diocesi e ci vorranno un paio di ore per arrivare. Strada stretta, molte buche, un solo segmento di una ventina di chilometri rimesso a nuovo da poco. Come sempre, restiamo sempre in silenzio e io ne approfitto per repgare e, anche, per riposare.
Quando abbiamo già superato il bivio per Naivasha, Julius mi allunga il cellulare. Io non l’adopero, ma lui è ben fiero di averlo sempre con sé. Qualcuno mi ha chiamato in Nunziatura e gli hanno dato il numero di Julius. Per i lunghi anni di collaborazione, riconosco subito la voce, sempre fresca e giovanile: “Eminenza, cosa succede? Sono in viaggio. Devo fare un incontro a Nakuru”.
“Ho fretta di parlare con te. È importante”.
All’improvviso mi rendo conto di qualcosa che non ha senso: “Ma Eminenza, lei dovrebbe essere in conclave. O avete già finito? Non ho saputo niente”.
“Guarda che il conclave non è finito. Ci sono difficoltà per trovare un accordo. Ti chiamo per questo”.
“Non capisco. C’è qualcuno che vi interessa qui in Kenya?”
“Sì, Giovanni, sei tu che vogliamo. Vieni subito. Ti spiego tutto quando arrivi”.
“Ma subito in che senso: sto andando a Nakuru e c’è gente che mi aspetta”.
“Chiama il vescovo e dì che non puoi andare. Torna a Nairobi e prendi il primo aereo per Roma”.
Faccio quello che mi chiede, ma non ci capisco molto. Le ipotesi sono tante, ma tutte strampalate. E la più strampalata di tutte è quella che non riesco nemmeno a pensare: che senso avrebbe? Io? E perché?
In ogni modo, arrivo a Roma e sono atteso dallo stesso Cardinale che mi ha chiamato. È in clergyman, senza nessuna insegna. Nessuno l’ha notato e nessuno fa caso a me.
Mentre in auto corriamo verso il Vaticano, mi spiega: “Eravamo ad un punto morto. Due candidati – e me ne fa il nome – restavano sempre in equilibrio e non c’era modo di sbloccare la situazione. A un certo punto, il Cardinale Manzanas ha chiesto di poter parlare, ed ha detto che si sentiva ispirato a proporre qualcuno che non era presente nel conclave. Ha fatto il tuo nome e ha descritto le ragioni per la sua scelta. Ha spiegato quello che hai fatto quando eri in Bolivia e ha detto che gli sembrava che tu fossi la persona adatta per dare alla Chiesa un nuovo impulso missionario. C’è stato un silenzio pieno di meraviglia … e poi è partito un applauso: insomma, sei stato eletto papa per acclamazione e ora manca solo il tuo consenso”.
“Ma questo è assurdo. Cosa vuole che faccia io, che sono rimasto da più di dieci anni lontano da Roma. E poi lo sa che a Roma il Cardinalone e i suoi non mi possono vedere”.
“I fatti sono quelli che ti ho detto. Ci è sembrato che la Provvidenza ci abbia guidati a fare questa scelta. Prima non ci aveva pensato nessuno”.
“A me sembra che con questa faccenda la Provvidenza non c’entri per niente. Questo è un trucco per avere qualcuno di comodo, da poter maneggiare a piacere. Ma io non ci sto”.
Il litigio continua fino a quando, passate diverse barriere di sicurezza, arriviamo all’interno della Cappella Sistina, dove tutti i Cardinali elettori sono riuniti. Mi sento smarrito, mentre tutti mi guardano con una compiacenza che mi imbarazza. La domanda fatale mi è rivolta, e, quasi senza pensare, pronuncio il mio “Accepto”. Ascolto la mia voce come se fosse un altro a parlare.
Quello che segue, è un susseguirsi di gesti che compio quasi fuori dai miei sensi: la scelta del nome, il passaggio nella piccola saletta per il cambio di vestito, e poi la prima obbedienza dei Cardinali, che in fila si avvicinano al mio trono.
Ed ecco che si avvicina il Cardinalone, con un sorriso di circostanza che mette in evidenza uno sforzo infelice per apparire pieno di gioia, mentre so bene che non lo è.
“Padre Santo, sono qui per esprimerle la mia sincera soddisfazione per la sua elezione e per prometterle la mia totale fedeltà”. “La ringraziamo, Eminenza, ma fin da ora le comunichiamo che faremo a meno del suo aiuto. Pensiamo anzi di toglierle subito il titolo cardinalizio e di nominarlo canonico onorario di qualche cattedrale di provincia”.
…
“Eccellenza, stiamo arrivando a Nakuru. Andiamo direttamente alla casa del vescovo?”
Adesso è Julius a parlare. Non sono più nella Sistina e non ho di fronte il collegio dei cardinali. Non ho mai potuto capire come possa dormire così profondamente durante i viaggi in macchina. E anche sognare. Ed era un sogno niente male, con tanto di nos maiestatico alla fine. Che peccato che i miei sogni non siano mai stati profetici!