Dal 14 al 18 ottobre 1974, mi recai nell’Abbazia benedettina di Ealing, a Londra, per vivere da solo alcuni giorni di ritiro spirituale. Avevo una cella a disposizione e celebravo e pregavo nella grande cappella. Per i pasti mi univo alla comunità, che manteneva il silenzio, mentre uno dei monaci leggeva ad alta voce.
In quei giorni si leggeva un grosso libro, in cui l’autore, tale H.V. Morton, raccontava il suo viaggio in Italia. Un giorno, riferiva sulla sua visita all’eremo di Camaldoli, che conoscevo bene, perché vi era vissuto per anni mio zio Carlo, fratello di mio padre, con il nome religioso di Don Domenico. Trasferito negli ultimi anni all’eremo di Montegiove, alle spalle di Fano, lo zio era morto per un tumore nel mese di luglio1967.
Ebbene, l’attento visitatore raccontava di aver visitato la cella di uno degli eremiti, che si chiamava Don Domenico. Per assicurarmi che si trattava proprio dello zio, aggiunse un dettaglio rivelatore: quel monaco amava guardare le stelle e si era costruito un telescopio. Questo era proprio lui!
Ho voluto copiare e tradurre la pagina, che ho fatto avere a mio padre e che unisco qui:
“Dirigendoci dalla chiesa al cancello, il mio compagno si avviò verso una cella e bussò. La porta fu aperta da un eremita che mi fu presentato come Don Domenico. Per qualche ragione per me non chiara, era stato liberato dall’impegno del silenzio, e sembrava compiaciuto di vederci. Fui contento quando ci invitò ad entrare… (qui descrive lungamente la casetta, con quattro stanzette e un cortile, tipica degli eremiti camaldolesi). Dato che Don Domenico era un prete, vicino alla camera da letto c’era un piccolo oratorio, dove egli celebrava Messa ogni mattina.
Uno dovrebbe vivere in un monastero per sapere se esiste ancora la cattiveria, che i re del Medio Evo dicevano essere la maledizione del monachesimo, ma, come visitatore occasionale, non posso ricordare di aver mai incontrato un monaco avvilito o spiacevole.
Ricordo soprattutto due tipi, il magro ascetico, che irradia serenità (…). Don Domenico, con il suo cortese, gentile sorriso, apparteneva alla categoria dei santi, e davvero io pensai che nel suo abito bianco, visto contro uno sfondo roccioso, avrebbe richiamato l’attenzione di Giotto e Mantegna.
Non è sempre facile intavolare una conversazione con chi vive fuori dal mondo, ma notai sui suoi scaffali diversi libri sui pianeti e scoprii che era un astronomo dilettante. Mi mostrò un telescopio che avena costruito lui, come dovrebbe aver fatto Galileo, con vecchie lenti e un foglio di stagno, e mi disse che di notte portava spesso questo strumento nel suo giardino e contava le lune di Giove”
(H.V. Morton. A traveller in Italy, Methuen & Co. Ltd, London 1964, p. 554-555).